Felicità, seguire l’amore e mettersi in gioco
Perché il chierico sapiente Dottor Faust chiede a Mefistofele di avere la conoscenza assoluta e in cambio offre la sua anima? E perché l’edonista Dorian Gray posto difronte alla stessa questione vuole invece l’eterna giovinezza? Insomma, perché nessuno, al momento di stringere un patto con il diavolo, non chiede la cosa più semplice, ovvero di essere felice e basta? Perché essere felici è un lavoro. Che ha un lato oscuro, intessuto di dolore, malinconia, tristezza. Stati d’animo che non vorremmo mai, naturalmente. Eppure spesso e per tanti sono l’anticamera, il prologo, addirittura il presupposto della felicità. «Solo chi è scombinato si mette a caccia del paradiso»: probabilmente ha ragione il pianista filosofo Giovanni Allevi, che sulla fatica di sopravvivere alle proprie zone d’ombra ha costruito una carriera straordinaria. Ne ha parlato, insieme ad altre cinquanta persone, nel «garage del futuro» (una delle più apprezzate novità di questa quinta edizione del Tempo delle Donne), un flusso di voci e di coscienza ininterrotto per tre giorni. Ma allora che cosa è la felicità? Abbiamo invitato Al Bano, il teorico della vita perfetta su larga scala. Un uomo che 25 anni fa ha perso tragicamente una figlia amatissima. «Negli anni Novanta sembrava che tutti mi sparassero contro, bombardassero il mio castello di realtà e fantasia. Ho pensato che il mio amico lassù non aveva cura di me. Poi però mi sono detto: chi sei tu per reagire contro Dio quando anche lui ha avuto un figlio ammazzato?». La felicità è sopravvissuta persino a questo: «Quanto lo sono da uno a dieci? Dieci». Il sociologo e antropologo francese David Le Breton ha indagato a lungo sulla natura della sofferenza, giungendo alla conclusione che è un modo per decifrare noi stessi: «Oggi