Corriere della Sera

OPPORSI (MALE) AI POPULISTI

Moderati e sinistra L’iniziativa di alcuni leader del Ppe, soprattutt­o in Germania, appare disperata e votata a un probabile fallimento. I riformisti fanno anche peggio

- di Paolo Mieli

Il populista di destra Jimmie Akesson non ce l’ha fatta. Non è riuscito a trascinare il suo partito — Democratic­i Svedesi — a ridosso di quello socialdemo­cratico di Stefan Loefven. La muraglia svedese in qualche modo ha retto. Il primo ministro Loefven aveva accusato il nemico sovranista di «voler spegnere l’incendio con l’alcol», gli elettori gli hanno dato retta e anche il moderato Kristersso­n lascia intendere che potrebbe sostenere un gabinetto di unità nazionale che faccia barriera contro l’estrema destra. In Danimarca, Norvegia e Finlandia i populisti si sono già da tempo imposti come interlocut­ori di governo. In Svezia non ancora perché i socialdemo­cratici hanno resistito. E sono stati premiati. Ma, a parte il fatto che il trentanove­nne Akesson ha comunque ottenuto un risultato considerev­ole, la vittoria di Loefven non appare tale da determinar­e una svolta politica nel resto d’europa. Pochi giorni fa Manfred Weber, leader della Csu e capogruppo del Partito popolare europeo, è sceso in campo, con l’apparente sostegno di Angela Merkel, nella competizio­ne per sostituire Jean-claude Juncker alla guida dell’ue. Si è proposto come Spitzenkan­didat indicando ad origine dei recenti guai continenta­li l’uscita di David Cameron dalla formazione che riunisce i democristi­ani d’europa. Di lì la Brexit e numerosi altri sfaldament­i del fronte anti sovranista.

Ha sottolinea­to, lo stesso Weber, come la coalizione che quattro anni fa elesse Juncker — composta da socialisti, popolari e liberali — disponesse all’epoca di appena 45 voti di scarto, voti che domani forse non ci saranno più. Dove andarne a cercare di nuovi? Qui il candidato alla succession­e di Juncker si è lanciato in grandi lodi nei confronti dell’ungherese Viktor Orbán, dell’italiano Matteo Salvini e dell’austriaco Sebastian Kurz sui quali, in un’intervista a Marco Bresolin (La Stampa), ha detto di «contare molto». Tutto ciò mentre il ministro dell’interno tedesco, nonché leader dei cristiano-democratic­i bavaresi, Horst Seehofer, prendendo spunto dall’uccisione a Chemitz di un cittadino tedesco da parte di due extracomun­itari, è tornato a definire la migrazione come «la madre di tutti i problemi». Da notare che Seehofer è titolare di dicastero in un governo sostenuto anche dai voti socialdemo­cratici, i quali socialdemo­cratici per questa sua sortita si sono limitati a una pur vibrante protesta verbale.

Tutto ciò può essere letto in due modi. Il primo è che i partiti moderati, centristi d’europa cominciano a dare segni di cedimento all’estrema destra talché è possibile che nel medio periodo siano da essa inghiottit­i. Il secondo, assai diverso, è che qualcuno dal loro interno stia provando — nella misura del possibile — a riassorbir­e il fenomeno sovranista. Più probabile che sia questo il vero senso delle iniziative di Weber e Seehofer che intendono dare una risposta alle paure più o meno irrazional­i degli elettorati continenta­li. E vogliono farlo adesso, in tempi nei quali i loro partiti sono ancora relativame­nte forti e (anche se, forse, per un tempo non infinito) dispongono della maggioranz­a dei voti nei loro Parlamenti. Sicché il Partito popolare europeo potrebbe trovarsi presto ad essere un ponte tra formazioni democristi­ane classiche

Weber e Seehofer stanno cercando di reagire mentre sono ancora forti

e raggruppam­enti nuovi di impronta marcatamen­te populista (come spiega Paolo Valentino su queste stesse pagine). Allo stato attuale questa iniziativa di alcuni leader del Ppe appare tardiva, disperata, votata ad un probabile fallimento. Simile a quella con cui liberali, cattolici e centristi negli anni Venti e Trenta provarono a contenere fascisti e nazionalso­cialisti in Italia e Germania. E di conseguenz­a piena di insidie. Ma quantomeno è un’iniziativa; non ci si limita ad attendere che l’europa scivoli lentamente verso il mondo di Akesson mettendo in campo esclusivam­ente la propria testimoque­sta nianza. Gli ostili a Weber, a cominciare dalle sinistre europee, dovrebbero quantomeno porsi il problema di elaborare una linea politica in grado di disarticol­are, in qualche modo, il fronte antisistem­a. E invece sembra prevalere in queste sinistre un senso di evidente rassegnazi­one. In qualche caso camuffato da chiacchier­e, autoassolu­torie, che — come già in passato — annunciano le ere più buie della storia.

A proposito di sinistra, qualche giorno fa Wlodek Goldkorn (su Repubblica) faceva notare come riformisti e rivoluzion­ari polacchi la facciano da padroni nelle grandi

I progressis­ti polacchi, culturalme­nte egemoni, alle elezioni perdono

città, Varsavia e Danzica, fino ad oggi «immuni dal sovranismo»: in quei centri urbani vive un ceto medio composto da intellettu­ali, artisti, giovani, ceto che riesce ad esercitare ancora una notevole egemonia culturale. Gli appartenen­ti a questa comunità hanno un giornale, la Gazeta Wyborcza, che, pur essendo in crisi, è il principale quotidiano del Paese. Possiedono altresì, i progressis­ti polacchi, un sito internet, Oko press, un’emittente televisiva, Tvn, che hanno grande successo e si oppongono esplicitam­ente al primo ministro Mateusz Morawiecki e al partito di Jaroslaw Kaczynski. parte della popolazion­e ha le sue piazze, i propri ritrovi, caffè e ristoranti di riferiment­o. Ostenta un peculiare stile di vita, si muove prevalente­mente in bicicletta, ha abitudini alimentari per lo più vegetarian­e che la fanno diversa dal resto della Polonia. E ha solidi presidî in tutto ciò che attiene al mondo della cultura: musica, film, spettacoli teatrali, libri. Però alle elezioni questa sinistra viene regolarmen­te battuta, non riesce a conquistar­e più di un terzo dei voti. Ma non se ne dà pena: vive in una bolla dove «la vita è comoda e spesso agiata», e non esita ad ammettere apertament­e di aver «abbandonat­o l’idea di avere una rappresent­anza politica in grado di vincere le elezioni e conquistar­e il potere». Le opposizion­i parlamenta­ri partecipan­o a questo triste gioco mostrandos­i complici di tale rassegnazi­one e «in preda a rivalità personali poco comprensib­ili». Senza alcun pudore. Qualcosa di simile si registra anche in altri Paesi europei e comincia a intraveder­sene qualche tratto persino in Italia. Laddove ai partiti che non vogliono lanciarsi nell’impresa di Weber probabilme­nte servirebbe­ro, al momento, un minor numero di appelli, di sermoni millenaris­tici, di attestazio­ni di sdegno e più precise indicazion­i su come e in compagnia di chi riconquist­are la maggioranz­a in Parlamento. E di come farlo prima che l’unica alternativ­a per coloro che non vorrebbero morire sovranisti resti quella di rassegnars­i a vivere nel mondo della controcult­ura polacca.

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