«Non siamo l’ungheria Il nostro argine tiene, non c’è posto per loro»
Bildt: il populista Akesson più moderato di Salvini
DAL NOSTRO INVIATO
STOCCOLMA Dicevano: attenti, in Svezia c’è una nuova Ungheria xenofoba che s’affaccia all’europa…
«Ma no. Il commento più sicuro è quel che ho sempre detto: Stoccolma non diventerà mai come Budapest. Qui non arriva nessun Orbán».
Jimmie Akesson non stravince, ma comunque piace a uno svedese su cinque. Non vi preoccupa?
«Certo, credo che questa destra estrema crescerà ancora per un po’, magari arriverà a percentuali anche più alte. E in futuro potrà essere un problema maggiore. Ma alla crisi del centrosinistra si contrappone il nostro risultato moderato. Una garanzia di stabilità. E alla fine il voto dice che la rappresentanza del popolo svedese non è l’estrema destra».
Carl Bildt è uno che ha gestito la pace nei Balcani, ha governato a Stoccolma, è stato ministro degli Esteri quando la Svezia diceva sì all’ue e no all’euro, ha sfidato il vicino russo ed estradato l’assange di Wikileaks: non è che s’impressioni tanto per l’onda sovranista. «Non c’è alcun pericolo che governino loro — spiega — Non siamo l’italia, non pensate che ci sia un Salvini sovrano di Svezia…».
Lei ha moglie italiana e conosce le due situazioni…
«Da voi non è stato possibile tenere i sovranisti fuori dal governo, ma è un sistema diverso. Qui, le alleanze sono già state espresse. E non è possibile un patto fra noi moderati e loro. Nessuno vuole governare con Sd».
Ma chi paragona Akesson agli altri leader populisti Ue?
«Salvini ha fatto un tweet per congratularsi con lui, ma non credo che Akesson ne sia felice. Certi abbracci, li reputa una fonte d’imbarazzo. Personaggi come Wilder e Orbán sono di gran lunga più brutali: lui sembra quasi moderato, paragonato a loro».
Si è rifatto una verginità, ha tagliato con fascisti e neonazi…
«Questo rimane un punto interrogativo. Se guardi alla gente che lo vota, svedesi normali, ti chiedi come faccia ad avere nel partito certi figuri».
L’avanzata della destra è comunque netta. È davvero la fine del modello svedese?
«Il modello svedese richiede una continua manutenzione. Nella tecnologia, nell’economia globale, nell’immigrazione. Dobbiamo adattarlo sempre ai cambiamenti sociali e del mercato. Per questo, integrare gli immigrati in Svezia è molto più complicato che negli altri Paesi. E vanno riviste alcune cose che non funzionano più. Questa è una crisi d’integrazione, non d’immigrazione: i rifugiati vengono nei nostri Paesi per starci moltissimo tempo, non puoi ipotizzare che prima o poi se ne vadano».
Dove hanno sbagliato i socialdemocratici?
«La Svezia non ha saputo gestire la crisi siriana. Un errore europeo, con enormi conseguenze. Non ne abbiamo previsto l’impatto. Un po’ com’è capitato a voi con la Libia: ricordo Frattini, allora ministro degli Esteri, che non era molto incline a far cadere Gheddafi. Alla fine, lo fece. Ma se ne pagano ancora le conseguenze».
Qual è la proposta di Akesson che la preoccupa di più?
«Quella di lasciare l’ue. L’ha sostenuta a lungo, ma in campagna elettorale non ne ha più parlato molto. Siamo stati noi a provare a stanarlo. Sa che è un argomento rischioso».
E l’attacco all’aborto, alle unioni gay, ai diritti civili?
«Lo stesso. Akesson vuole cambiare molte cose, ma ultimamente non lo dice più. Questo è preoccupante».
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«Ma le interferenze di Mosca che si sono viste in altre campagne elettorali all’estero, per esempio in Germania, qui non ci sono state».
Lei conosce bene la testa di Putin…
«Per ora, non credo che attiriamo tutta questa attenzione».