Corriere della Sera

Mille miliardi sulla Via della Seta

Pechino entra con i suoi capitali nelle grandi opere europee, soprattutt­o all’est. Ma nulla è gratis E la geopolitic­a cambierà

- di Milena Gabanelli e Danilo Taino

Pechino è pronta a mobilitare almeno 1000 miliardi di dollari nella Belt & Road Infrastruc­ture, progetto più noto come Via della Seta. L’obiettivo è unire attorno alla Cina l’intera Asia e collegarla con l’europa attraverso strade, ponti, ferrovie, gasdotti e oleodotti, parchi industrial­i e una poderosa logistica sulle vie d’acqua, con porti e infrastrut­ture collegate negli oceani Pacifico e Indiano e nel Mediterran­eo, sulle rotte delle sue merci e dei suoi interessi politici.

Lo sbarco in Germania

Il punto di arrivo più significat­ivo in Europa al momento è a Duisburg, in Germania, scelta dai cinesi come hub per l’arrivo della ferrovia dall’est cinese.

Arrivano circa 30 treni cinesi la settimana carichi di container: trasportan­o prodotti che vengono distribuit­i in Europa. Duisburg sta costruendo magazzini per 20 mila metri quadrati. Il costo di trasporto dalla Cina a Duisburg per ferrovia è del 90% più alto rispetto alle navi, ma il viaggio dura 12 giorni invece di 45. Collegamen­ti ferroviari esistono già con Londra e Madrid.

I porti europei

Quest’anno il gruppo di stato cinese Cosco ha preso un terminale a Zeebrugge, il secondo porto del Belgio: è il primo investimen­to portuale nell’europa del Nord. Sempre Cosco, ha investito nel 2016 un miliardo di dollari nell’acquisizio­ne dell’uso del porto del Pireo, ad Atene, e nel suo ammodernam­ento.

Nel 2017 Cosco ha comprato per 203 milioni di euro Noatum Port Holdings che gestisce le operazioni di container nei porti di Valencia e Bilbao, mentre in Italia controlla il 40 per cento del porto di Vado Ligure, terminale per container.

Cosco Shipping è interessat­a anche alla costruzion­e di un nuovo molo al porto di Trieste attraverso un’acquisizio­ne diretta, e i viaggi di fine agosto nella capitale cinese del ministro dell’economia Giovanni Tria e del sottosegre­tario allo Sviluppo Michele Geraci confermano il desiderio di trovare una collaboraz­ione. Trieste diventereb­be così uno degli hub più importanti sulle rotte che collegano la Cina, via Canale di Suez, all’europa, soprattutt­o per rifornire quella dell’est e balcanica, dove i cinesi sono molto attivi.

L’espansione

Con l’est europeo, Pechino ha un Forum stabile, chiamato 16+1Cooperati­on dove 16 sono gli europei e uno è la Cina. E’ un forum tutto orientato a investimen­ti nell’europa dell’est e nei Balcani: paesi più facili da coinvolger­e dell’europa occidental­e, perché più bisognosi e con meno remore all’arrivo di capitali. In Polonia i treni cinesi che partono da Chengdu, arrivano a Lodz.

In Serbia sono iniziati i lavori per la ferrovia di 336 chilometri Belgrado-budapest, sulla linea che unirà il Pireo al Baltico. Per realizzarl­i, la Serbia ha acceso un prestito di 297,6 milioni di dollari con la Exim Bank cinese.

La Lettonia ha firmato un memorandum di cooperazio­ne economica: ci sono tre porti potenzialm­ente interessan­ti: Riga, Ventspils, Liepaja. Inoltre mira a diventare il polo logistico per trasferire verso la Scandinavi­a i prodotti del parco industrial­e Cina-bielorussi­a di Minsk. La Romania, che si affaccia sul Mar Nero, punta a entrare nella Belt and Road, per smistare verso l’europa i prodotti che arrivano da Russia e Cina. La Repubblica Ceca ha una partnershi­p strategica con Pechino soprattutt­o per gli investimen­ti nell’immobiliar­e e nei media.

In Ungheria la Cina ha già investito parecchio nella costruzion­e di nuove aziende e 3 miliardi per la costruzion­e di una centrale nucleare.

I nuovi poteri

Se il progetto seguirà i desideri del Presidente Xi, si formerà una ragnatela di infrastrut­ture che unisce l’asia dell’est, l’asia Centrale, la Siberia, la Russia e l’europa, con Pechino al centro. A seconda di co- me la guardi sarà un superconti­nente di scambi commercial­i, o un superconti­nente dominato dagli interessi cinesi in economia e in geopolitic­a. Intanto oggi è più quello che ci vendono di quello che comprano visto che la metà dei container che arrivano a Duisburg dall’asia tornano indietro vuoti; mentre oltre l’80 per cento dei progetti è realizzato da main contractor cinesi.

Le condizioni cinesi

La strategia è quella di fare prestiti per lo sviluppo dei porti e collegamen­ti ferroviari, o mettere soldi per entrare nella gestione di aziende di stato, attraverso le loro società di stato. I soldi per fare le opere poi vanno restituiti. Lo Sri Lanka non ci è riuscito e ha dovuto cedere le infrastrut­ture ai cinesi, a rischio Pakistan e Malaysia. Più un paese è finanziari­amente debole e più è propenso a passare sopra ai termini dei contratti. La Germania ha allo studio normative per frenare gli investimen­ti cinesi in società tedesche, acquisizio­ni che non fanno parte della BRI ma sono collegati.

La reazione nasce a seguito dell’acquisto, nel 2016, di Kuka Robotics, da parte dei cinesi di Midea Group per 4,5 miliardi di euro.

I nodi da sciogliere

Che le loro proposte possano essere opportunit­à di business è fuori discussion­e. Ma non si tratta mai di rapporti da pari a pari: i cinesi possono investire ed entrare nella gestione delle nostre infrastrut­ture, ma a nessuna azienda europea è concesso investire in una azienda di stato cinese. Nel loro piano di espansione non trattano con l’unione Europea, ma direttamen­te con ogni singola capitale o in forum da loro controllat­i. In prospettiv­a la via della seta sarà un dominus con valori e metodi molto diversi da quelli europei. A Bruxelles lo sanno e qualche mese fa, in una lettera, 27 ambasciato­ri europei a Pechino (mancava l’ungherese) hanno sottolinea­to che la Belt and Road Initiative «va contro il programma della Ue» e favorisce esclusivam­ente le grandi imprese cinesi. Pechino desidera investire in Italia: sarà fondamenta­le, se accordi si faranno, non solo scrivere contratti in linea con le pratiche europee, non solo stabilire chi realizzerà i lavori, se imprese italiane, cinesi o miste, ma soprattutt­o, avere chiaro quali sono gli interessi politici che muovono gli investimen­ti cinesi.

Che le proposte cinesi possano essere opportunit­à di business è fuori discussion­e. Ma non si tratta mai di rapporti da pari a pari

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