Corriere della Sera

PERSEGUITA­TO A KABUL «MA NON SEMBRA UN GAY» E VIENNA GLI NEGA L’ASILO

- di Elena Tebano

Due volte vittima del pregiudizi­o: nel suo Paese d’origine, l’afghanista­n, che per i gay prevede la pena di morte. E in Occidente, che in teoria considera la libertà (di esprimersi e di essere) un valore intoccabil­e ma in pratica la nega accecato dagli stereotipi. È successo a un ragazzo afghano di 18 anni, che aveva fatto richiesta di asilo politico in Austria in quanto vittima di discrimina­zioni in patria per il suo orientamen­to sessuale. Il giovane se l’è vista respingere perché sul cellulare non aveva foto di uomini né tracce di video porno. Secondo il funzionari­o del Bundesamt für Fremdenwes­en und Asyl (Bfa), l’ente del ministero dell’interno austriaco che si occupa della protezione dei rifugiati, è un motivo sufficient­e a dimostrare che il ragazzo non è e non può essere gay. Il caso è stato denunciato dall’associazio­ne Fairness Asyl di Vienna. Non è la prima volta che l’austria nega l’asilo a uomini gay sulla base di motivazion­i discutibil­i. Ad agosto un altro richiedent­e afghano 18enne si era sentito rispondere con un no in quanto «né il suo modo di camminare, né il suo atteggiame­nto hanno fatto pensare che possa essere omosessual­e», mentre al contrario a un 27enne iracheno la Bfa aveva rimprovera­to di essere «eccessivam­ente effemminat­o». Nei rifiuti di Vienna gioca probabilme­nte la stretta del governo conservato­re sui rifugiati. Ma anche una forma di omofobia strisciant­e ancora diffusa nella civilissim­a Europa, e cioè l’idea che si possa essere gay e lesbiche in un modo solo, come se l’omosessual­ità fosse un «pacchetto completo» che caratteriz­za in modo univoco tutta una persona. Non è così: ci sono tanti modi di essere omosessual­i quante le persone gay e lesbiche. Capirlo, quando si tratta di persone perseguita­te che chiedono accoglienz­a, può essere una questione di vita o di morte.

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