Corriere della Sera

Il temerario Ulisse del verticale e la mia impresa sopra il vuoto: quei brividi del Campanile Basso

- di Franco Brevini

Il Campanile Basso è un rozzo chiodo piantato nella forcella e io sono appeso sotto la vetta, in un vuoto da Empire State, ultimo piano. Attraverso su una cornice, mi abbasso sfruttando alcune solide prese e mi trovo all’inizio di una spettacola­re placca di calcare grigio. Le gambe in spaccata creano un triangolo attraverso cui osservo la parete sottostant­e, che dopo pochi metri rientra sparendo in uno strapiombo. Più in basso il ghiaione appare tagliato dal Sentiero delle Bocchette, lungo il quale luccicano i binocoli di alcuni escursioni­sti, che si sono fermati per seguire la nostra scalata.

La conquista del leggendari­o Obelisk di Madonna di Il traguardo Franco Brevini sul Campanile Basso, cima situata nella catena centrale del Gruppo delle Dolomiti di Brenta Campiglio avvenne in un clima di accesa contrappos­izione nazionalis­tica fra trentini e austriaci, negli anni in cui il quarto grado si era affacciato sulle Alpi. Ci provarono per la prima volta nel 1897 il trentino Carlo Garbari con il portatore Nino Pooli di Covelo e la guida di Primiero Antonio Tavernaro. Ma la delusione avrebbe atteso la cordata trentina sullo «Stradone provincial­e», dove anche noi, accompagna­ti dal fragore del vento che scuote come vele il nylon delle giacche, siamo giunti poco fa. Da una cornice chiamata «albergo al sole», ai piedi della cuspide del Basso che incombe strapiomba­nte, osserviamo il tratto che arrestò i trentini.

Il biglietto lasciato da Garbari dentro una bottiglia evoca il fair play delle cordate inglesi: «Al secondo miglior fortuna!». Mentre si calavano, dopo essere giunti solo a una quindicina di metri dalla vetta, tutti e tre speravano in cuor loro che quel più fortunato secondo fosse un italiano. Ma non fu così. Ad aggiudicar­si il Campanile Basso furono due austriaci, poco più che ragazzi, entrati un po’ per caso nella storia dell’alpinismo. Quegli eroi di un giorno fortunato venivano da Innsbruck, si chiamavano Karl Berger e Otto Ampferer e conquistar­ono il Basso nel 1899, lo stesso anno in cui nacquero la Fiat e il Milan, in cui morì Segantini e in cui Tolstoj scrisse Resurrezio­ne.

Che il gioco si facesse duro lo capirono subito quando trovarono il biglietto di Garbari. Ma ad Ampferer venne in mente di traversare a sinistra. Fu la soluzione vincente. Immagino quel temerario ulisside del verticale, che si

A fine ‘800 quella parete di quarto grado fu tentata invano dai trentini. Ce la fecero gli austriaci

avventura in questo vuoto con la sua povera attrezzatu­ra che sapeva più di museo contadino che di hi-tech. Non aveva idea di cosa lo attendesse e non aveva alcuna garanzia di riuscire a scendere, ma come un paziente ragno andava ugualmente avanti, posseduto dall’adrenalina di una giornata che non si sarebbe mai più ripetuta nella sua vita.

Sono incantato dalla bellezza di questi metri di parete, collocati lassù nel luogo più aereo del Basso. Poi di colpo la roccia si inclina, pochi passi e mi ritrovo su una spianata ingombra di massi. Urto leggerment­e i cilindri della campana tibetana e il suono si spande metallico tra le crode, correndo via nel vento impetuoso, che sembra piovere dagli squarci di azzurro aperti fra le nubi. Ma il cielo si sta rapidament­e chiudendo. Buttiamo le doppie e cominciamo a calarci nel vento, che, infilandos­i fra le pareti del Campanile e della Brenta Bassa, produce un fragore assordante.

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