«L’ultradestra non trionferà Paese diviso, ma dentro l’ue»
STOCCOLMA L’ultradestra ha solo rinviato il trionfo?
«No, ha raggiunto il massimo. Non avrà più voti alle prossime elezioni». Figlia d’un ungherese che si rifugiò dal comunismo, madre d’un romanzo («1947», Iperborea) che racconta le migrazioni moderne, madrina dell’inchiesta che rivelò le simpatie naziste del fondatore d’ikea, Elisabeth Åsbrink sospira: «Avevo paura, sono felice si siano fermati al 17 e qualcosa. Sarà un problema fare il governo, ma meglio così».
È un primo alt ai movimenti anti-ue?
«No. La Svezia era scettica sul progetto Ue, ma solo all’inizio. Qui è raro ci sia qualcuno contrario. Criticano la globalizzazione, ma non dicono le cose che si sentono a Roma o a Londra».
E allora come leggiamo il risultato?
«L’establishment non ha un’esatta comprensione della Svezia. Non è umile, non vivono in periferia, dove c’è
più d’una ragione per essere infelici, non solo la questione migranti. Gli ospedali chiusi, le ambulanze trasferite, lo scarso lavoro: la gente è scioccata da un massiccio cambio d’identità che passa anche per queste cose. E poi, certo, vede cambiare un’etnia che è sempre stata omogenea. Non siamo gli Usa. Negli ultimi dieci anni, l’immigrazione ci ha cambiati. Portando paura. Se i politici lo capiscono, questa crisi può essere un’opportunità: un Paese che sostituisce l’etnicità con qualcosa d’accettabile».
Un Paese che non si sente più un modello?
«Un Paese diviso, come gli Usa. Metà fiero del suo welfare, metà che vuole tornare a un altro tipo di Stato. Più chiuso, più omogeneo».
Nell’eclissi della socialdemocrazia, è assordante il silenzio degli intellettuali…
«Qualcuno parla in modo emotivo, senza fare bene il suo lavoro d’intellettuale. C’è un mondo della cultura svedese che non ama discutere con chi è dall’altra parte. Preferisce boicottarlo. È una tendenza antidemocratica».