Corriere della Sera

Budini e vino, la politica torna a tavola

Da Craxi a Bossi, da D’alema a De Mita: il rito dei «caminetti» che resiste nell’era giallo-verde

- di Gian Antonio Stella

«Siamo carne da cannelloni», disse anni fa Francesco Storace ammiccando sulla frase di Chateaubri­and. E infatti, con la cena bandita per «metter pace» tra un po’ dei litiganti dem, Carlo Calenda aveva tentato di tornar lì dove la politica aveva risolto tante risse storiche: a tavola. Davanti a un nuovo «caminetto». Lo consigliav­a perfino il futuro papa Giovanni XXIII la cui santità non ne fu intaccata: «Preferisco incontrarm­i con gli avversari a una buona tavola, piuttosto che inondarli di note diplomatic­he».

Macché, cena annullata. Se poteva, anzi, Angelo Roncalli chiamava lo chef Roger: mangiar male poteva mandar a monte un buon accordo. Del resto, scrisse monsignor Loris Capovilla, non lo faceva per gola: «Era rotondo come un parroco, ma mangiava come un uccellino». Da Calenda, però, non sarebbe bastata manco l’arte di Massimo Bottura: troppo odio intestino avrebbe avvelenato qualunque piatto.

La dedizione «politica» alla prelibatez­za dei piatti è stata spesso premiante. La mitica Maria Angiolillo, che negli anni buoni teneva salotto nella sua casa affacciata su Trinità dei Monti offrendo agli ospiti squisitezz­e e riservatez­za, non avrebbe mai rinunciato ai menù in francese: «Petit chou aux fines herbes», «Terrine de esturgeon fumé»... E Maddalena, la moglie di Gianni Letta, impiegò tutte le sue arti culinarie nel ’97 per accogliere il presidente della commission­e bicamerale Massimo D’alema e il capo dell’opposizion­e Silvio Berlusconi, riuniti con ospiti selezionat­issimi nella casa alla Camillucci­a per la celebre «crostata costituent­e».

«Nel successivo, e grottesco, dibattito parlamenta­re sulle riforme istituzion­ali», scriverà Filippo Ceccarelli nel suo delizioso Lo stomaco della Repubblica, «il segretario del Ppi Marini si concede il lusso di una civettuola rivendicaz­ione: “La crostata era davvero ottima”. “L’accordo della crostata”, gli fa eco Ciriaco De Mita, “è recuperabi­le nella tradizione democratic­a del nostro Paese”. “Non s’è mai capito se la crostata è stata mangiata o no”, lo interrompe il presidente dei deputati del Pds Mussi. A questo punto interviene il presidente del gruppo parlamenta­re del Senato Salvi: “È arrivato il momento di dirlo: era una crème caramel”. Non sia mai, replica categorica a Telecamere la signora Letta: “Nessun budino, io so fare solo le crostate”».

Eppure il «caminetto più caminetto», segreto come si conviene, finirà nei libri di storia per la povertà spartana di pietanze e libagioni. È l’autunno del ’94 e l’umberto Bossi, reduce dalle passeggiat­e in canotta bianca e braghette blu da «ragiunatt in gita» a Porto Cervo, si è deciso a buttar giù Silvio Berlusconi e dà appuntamen­to ai congiurati, Rocco Buttiglion­e e Massimo D’alema, nel quartierin­o dove vive alla periferia di Roma, dalle parti del raccordo anulare.

Niente a che vedere con la famosa «Cena col diavolo» del 7 luglio 1815, dopo Waterloo, tra Joseph Fouché, già ministro di Napoleone e ora capo del governo provvisori­o, e il principe vescovo Charles de Talleyrand, già fedele a Luigi XVI, poi alla Rivoluzion­e, poi a Napoleone, poi alla Restaurazi­one. Per il loro patto avevano voluto un grande chef e «asperges en petits pois, culs d’artichauts à la ravigote, saumon à la Royale»… Umberto Bossi no: « Andai in cucina, aprii il frigorifer­o e ci trovai una confezione di pan carrè, alcune scatole di sardine, tre o quattro lattine di birra e Coca Cola. Piazzai tutto sul tavolo, aprii lo scatolame e cominciai a mettere insieme qualcosa di simile a dei tramezzini. Mentre mi davo da fare vidi che D’alema mi guardava con occhi divertiti: “Adesso ho capito che siete popolari come noi”, disse addentando un tramezzino. Io alzai la lattina per un brindisi. In quel momento, per contrasto, mi passarono davanti agli occhi i bicchieri di cristallo di Boemia dell’uomo che voleva comprarsi lo Stato…». Cioè Silvio Berlusconi.

Tutta la nostra politica ha vissuto per decenni passaggi storici intorno ai «caminetti». A volte caminetti veri e propri, come quello di marmo con sopra un busto di Alcide de Gasperi, lungo una parete della villa alla Camillucci­a dove la Democrazia Cristiana si riuniva per riunioni più o meno ristrette e a volte per dibattere riservatam­ente le svolte politiche, come in certi vertici preparator­i dell’apertura del centro sinistra. A volte «caminetti» improvvisa­ti, come la stanza chiusa al pubblico dell’area privata di Linate dove l’antivigili­a di Natale del ‘99, come rivelò sul Giorno il biografo di Umberto Bossi Daniele Vimercati, fu siglato davanti ad aranciate e analcolici il «patto di Linate» fra il Senatùr e il Cavaliere per andare insieme al voto nel 2001.

Fatto è che, dal «patto del caciocaval­lo» degli anni 80 tra Bettino Craxi e Ciriaco De Mita alla «Pace Roma-padania» che chiuse le roventi polemiche dell’autunno 2011 tra la Lega nordista e la destra berlusconi­ana e post-missina segretario guite al trasloco (virtuale) di ministeri a Monza, pace festeggiat­a in piazza da Renata Polverini che mescolava pentoloni di polenta e Umberto Bossi che mangiava Rigatoni con la Pajata, la politica ha sempre avuto bisogno di momenti «dietro le quinte».

Perfino l’era «giallo-verde» dell’assoluta e mistica trasparenz­a, ha già avuto i suoi «caminetti» riservati. Come l’incontro del 13 maggio scorso, a Milano, nello studio del commercial­ista milanese Stefano Buffagni, uomo di fiducia di Luigi Di Maio e oggi sottose-

d Nel 1994 il Senatùr per buttare giù Berlusconi incontra D’alema e Buttiglion­e Mangiano tramezzini con le sardine

d Maddalena, moglie di Letta, impiegò tutte le sue arti culinarie nel 1997 per accogliere D’alema e Berlusconi per il patto costituent­e

agli Affari regionali, tra il capo del Movimento 5 Stelle, il segretario della Lega Matteo Salvini e il suo braccio destro Giancarlo Giorgetti. Incontro chiave per definire certi punti nevralgici del contratto per il nuovo governo.

Un punto, comunque, è sempre stato indispensa­bile per arrivare a qualche risultato. La volontà dell’una e dell’altra parte di arrivare davvero a un accordo. Anche rinunciand­o qua e là, ovvio, alle proprie ragioni. Ecco il nodo: i litiganti che avevano accettato l’appuntamen­to a casa Calenda volevano arrivarci davvero, a un accordo? Mah... Lo spiegava già Leon Battista Alberti oltre mezzo millennio fa: «I mali uomini sono più che le tigri». E «uno solo vizioso mette in rovina tutta una universa famiglia». Già immaginiam­o tante mani alzate: «Non sarà mica colpa mia!».

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