Corriere della Sera

Rimpatrio all’italiana

- di Massimo Gramellini

Gentile ancorché brusco Salvini, la sa quella dei quindici clandestin­i che se ne vanno a spasso per l’italia perché l’aereo che avrebbe dovuto restituirl­i all’altra sponda del Mediterran­eo si è guastato? Non è una barzellett­a, ma il Paese che le tocca governare. La storia comincia con uno sciame di furgoni scuri che converge sulla pista di Fiumicino. A bordo si trovano dei tunisini senza permesso di soggiorno. Solo da Torino ne arrivano sette, scortati da diciotto agenti. Eppure le ore passano e l’aereo per Tunisi non decolla. È rotto. Un sabotatore lussemburg­hese, ministro? Magari. Meglio avere a che fare con le losche trame della Spectre mondialist­a che con le smagliatur­e perenni di uno Stato sbrindella­to. Aspetti, non è finita. In base alla legge concepita da qualche trapezista del pensiero, i clandestin­i non possono venire trattenuti in aeroporto fino al prossimo volo per Tunisi. Vanno lasciati liberi. Sembrava un rimpatrio, invece era una gita a Roma. Però sono stati muniti di un ferocissim­o foglio di via, che intima loro di lasciare l’italia «entro e non oltre» una settimana. Lo avranno appallotto­lato appena girato l’angolo.

Scorge una morale, signor ministro? Ci scanniamo tra buonisti e cattivisti, prezzolati da Soros e nostalgici del Duce. Ma abbiamo scordato una questione preliminar­e: tanto la bontà quanto la cattiveria (figurarsi la giustizia) per diventare operative richiedono un minimo di efficienza e senso comune, altrimenti restano parole vane. Come queste, temo.

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