Rimpatrio all’italiana
Gentile ancorché brusco Salvini, la sa quella dei quindici clandestini che se ne vanno a spasso per l’italia perché l’aereo che avrebbe dovuto restituirli all’altra sponda del Mediterraneo si è guastato? Non è una barzelletta, ma il Paese che le tocca governare. La storia comincia con uno sciame di furgoni scuri che converge sulla pista di Fiumicino. A bordo si trovano dei tunisini senza permesso di soggiorno. Solo da Torino ne arrivano sette, scortati da diciotto agenti. Eppure le ore passano e l’aereo per Tunisi non decolla. È rotto. Un sabotatore lussemburghese, ministro? Magari. Meglio avere a che fare con le losche trame della Spectre mondialista che con le smagliature perenni di uno Stato sbrindellato. Aspetti, non è finita. In base alla legge concepita da qualche trapezista del pensiero, i clandestini non possono venire trattenuti in aeroporto fino al prossimo volo per Tunisi. Vanno lasciati liberi. Sembrava un rimpatrio, invece era una gita a Roma. Però sono stati muniti di un ferocissimo foglio di via, che intima loro di lasciare l’italia «entro e non oltre» una settimana. Lo avranno appallottolato appena girato l’angolo.
Scorge una morale, signor ministro? Ci scanniamo tra buonisti e cattivisti, prezzolati da Soros e nostalgici del Duce. Ma abbiamo scordato una questione preliminare: tanto la bontà quanto la cattiveria (figurarsi la giustizia) per diventare operative richiedono un minimo di efficienza e senso comune, altrimenti restano parole vane. Come queste, temo.