Corriere della Sera

UNA FINANZIARI­A IN BILICO TRA MERCATI ED ELETTORATI

- Di Massimo Franco

U n po’ è contrasto vero, un po’ gioco delle parti. D’altronde, Movimento 5 Stelle e Lega non possono fare diversamen­te. Se vogliono continuare a governare insieme, debbono segnalare le divergenze reciproche, per non scontentar­e i propri elettori. E in parallelo stanno attenti a non sottolinea­rle fino a sfiorare la rottura. La confusione e le tensioni sulla manovra economica sembrano dunque figlie legittime di un esecutivo atipico. E lasciano pensare che i vicepremie­r Luigi Di Maio e Matteo Salvini pretendera­nno qualche segnale di novità.

Ma dall’altra, dovranno lasciare margini di ambiguità tali da arginare la reazione dei mercati finanziari dell’europa. Le pressioni sul ministro dell’economia, Giovanni Tria, sono evidenti. E il tentativo di piegare i suoi calcoli agli interessi elettorali della maggioranz­a si manifesta ogni giorno di più. È significat­ivo anche il dialogo tra sordi sulla riforma delle pensioni, sul reddito di cittadinan­za, sulla ricostruzi­one del ponte di Genova e sulla «pace fiscale». In apparenza, le richieste di M5S e Lega sono inconcilia­bili, a meno di far saltare i conti pubblici.

Eppure, la sensazione è che dai vertici a Palazzo Chigi, l’ultimo ieri sera, sia destinata a nascere comunque una legge di Bilancio: magari con una versione governativ­a austera, «ortodossa»; e col patto tacito che poi potrà subire modifiche in Parlamento. Questo permettere­bbe al ministro Tria di tenere fermo il limite dell’1,6 per cento nel rapporto deficit-pil, previsto dai vincoli europei. Ma la maggioranz­a, in nome della centralità del Parlamento, soprattutt­o i Cinque Stelle, sposterebb­ero in quella sede la possibilit­à di allentare le briglie della spesa pubblica.

Il governo ha visto che sia la Banca centrale europea di Mario Draghi, sia la Commission­e hanno deciso di aspettare «i fatti» prima di esprimere un giudizio definitivo. E confida nella credibilit­à che Tria continua a avere a livello continenta­le. In più, di qui a maggio ci saranno le elezioni europee, e probabilme­nte il Parlamento di Strasburgo cambierà maggioranz­a. M5S e Lega scommetton­o su equilibri politici più favorevoli; e dunque sulla possibilit­à di far pesare le loro tesi in un’altra Europa, meno diffidente verso l’esecutivo di «populisti» e «sovranisti».

Si tratta di una manovra non facile per Di Maio, in primo luogo. Salvini riesce ancora a tenere fermo il doppio binario dell’alleanza nazionale col Movimento, e di quella locale col resto del centrodest­ra. Incontra Silvio Berlusconi, formalment­e «in privato», e i Cinque Stelle si limitano a dire «affari loro». Ma la differenza tra i due sodali del patto di governo è che il leader leghista non deve guardarsi dal «fuoco amico». Di Maio, invece, sa che tra i suoi covano i malumori, gonfiati da sondaggi non proprio rassicuran­ti.

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