Corriere della Sera

Ridiamo speranza al progetto Europa

- Di Dacia Maraini

Finalmente l’europa sembra essersi svegliata. Grazie a una giovane italo olandese che per la prima volta, con chiarezza, a voce alta, senza timore di offendere, di configgere, di fare perdere quell’equilibrio instabile in cui sopravvive­va, ha avuto il coraggio di ricordare che l’europa non è solo una entità economica, ma una unità ideale, che si riconosce in alcuni valori e ha l’intenzione di difenderli. Parlo della condanna alla Turchia di Erdogan e della decisione di affrontare i grandi evasori della Rete. Naturalmen­te i soliti «realisti» hanno accusato Judith Sargentini di ingenuo ottimismo. Lei ha risposto: bisogna essere ottimisti, altrimenti si soccombe. E ha perfettame­nte ragione. Siamo tutti buoni a criticare, rumoreggia­re, tagliare il capello in quattro dicendo male dell’europa, male della politica, male di chi fa progetti per il futuro. È passata, soprattutt­o a sinistra, la linea del mugugno e dell’autodenigr­azione: tanto va tutto a rotoli, tanto non ce la faremo mai, ecc. In questo clima di sfiducia e rassegnazi­one amareggiat­a che coinvolge sia i politici che i politologi, la gente dà retta ai suoi istinti più bassi: quello che è mio è mio, tornatene al tuo Paese, qui comando io, ecc. Per cambiare qualcosa ci vuole fiducia e orgoglio. Oltre a distrugger­e bisogna avere voglia di costruire. Il suicidio ha un fascino sottile che fa girare la testa a molti. Il padre che uccide il suo bambino dopo avere litigato con la moglie, simboleggi­a nel suo orrore, questo periodo di massacro di affetti e speranze. Io spero, lo spero con tutto il cuore, che la scossa data dalla giovane Sargentini stimoli il risveglio di un popolo spento e drogato, che risvegli la voglia di difendere conquiste che sono costate sudore sangue e non possiamo buttare nella spazzatura. L’europa è quello che pensa ed esprime con parole semplici la coraggiosa Judith Sargentini: un progetto ambizioso, se vogliamo, difficile da tenere in piedi, ma per cui vale la pena di darsi da fare. Se l’europa riprende la coscienza del suo prezioso stare insieme costruendo pace e benessere, saprà affrontare anche la difficile e dolorosa questione della migrazione che non è una catastrofe naturale, ma una umanissima fuga dalla fame che va regolata e affrontata con razionale fermezza, senza strapparsi i capelli e chiudere porte e finestre in un impeto di cieco egoismo.

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