Corriere della Sera

Le memorie di un cronista

Esce oggi per Mondadori «Il borghese», autobiogra­fia del giornalist­a. Al centro gli anni al «Corriere» Vittorio Feltri racconta gli incontri di una vita: politici e grandi firme

- Di Dino Messina

Vittorio Feltri ha intitolato Il borghese la sua autobiogra­fia, cui ha voluto aggiungere La mia vita e i miei incontri da cronista spettinato. Un sottotitol­o che affermando contraddic­e e fa da pendant perfetto con il suo viso da eterno ragazzo, lui classe 1943 (25 giugno), il caschetto di capelli sempre in ordine, la giacca di ottimo taglio, la cravatta sulla camicia a scacchi. Eppure questo suo libro Feltri avrebbe potuto chiamarlo Il provincial­e, come l’autobiogra­fia di un altro grande giornalist­a, Giorgio Bocca. Al pari di Bocca Feltri ha coraggio, passione e una prosa chiara, diretta e talvolta scanzonata, che concorrono a inserire questo racconto tra i classici del genere.

Qualcuno storcerà il naso di fronte a tale paragone. Personalit­à troppo diverse, addirittur­a agli antipodi, eppure leggere per credere. Tanto più che è lo stesso Feltri a rimettere le cose a posto nelle pagine dedicate al fuoriclass­e di Cuneo. Abitavano a Milano nella stessa via, in zona Magenta. Si salutavano, scambiavan­o opinioni, si stimavano. Feltri intervistò Bocca per «Prima Comunicazi­one» e ne uscì un articolo molto gustoso. C’era quasi amicizia, poi la rottura. Quando si trattò di assegnare il premio «è giornalism­o» a Vittorio Feltri, Indro Montanelli ed Enzo Biagi diedero il loro assenso, ma Bocca si oppose: «Se lo merita, ma è un fascista». Feltri, che da ragazzo era stato socialista, ma mai ha simpatizza­to con la destra neofascist­a, restituisc­e pan per focaccia: «Bocca era fascista nel temperamen­to, quantunque non più nei principi». Eppure quanta ammirazion­e per quella prosa per quell’onestà di giudizio, che ne facevano uno dei giornalist­i che eccelleva nell’analisi politica, a differenza sia di Indro Montanelli, «superficia­le e irridente», sia di Enzo Biagi, «una sorta di orecchiant­e».

Il borghese di Vittorio Feltri (Mondadori, pagine 100, 17) è la confession­e in pubblico di un ragazzo di Bergamo rimasto orfano prestissim­o, che si salva con la passione per la lettura e trova i suoi «genitori putativi», cui è dedicato il libro, in monsignor Angelo Meli, che gli tenne le prime lezioni private di storia, letteratur­a (e vita) e nella «zia Tina», che lo protesse e gli insegnò a leggere e scrivere a quattro anni.

Fece tanti mestieri Vittorio Feltri, prima di militare precocemen­te nel giornalism­o: ragazzo che consegnava il latte, commesso, vetrinista, impiegato della Provincia di Bergamo… Doveva aiutare la mamma vedova a mantenere la famiglia, ma si annoiava e trovò l’energia per collaborar­e con l’«eco di Bergamo» e poi con «La Notte» di Nino Nutrizio, il geniale direttore che lo assunse accogliend­olo con il poco invitante «ho il sospetto che lei sia un cretino».

Ne Il borghese Feltri mette il suo cuore a nudo, raccontand­o di come rimase vedovo a 21 anni della bella e sfortunata Maria Luisa, con due gemelle cui badare, Laura e Saba, del matrimonio con Enoe, da cui ha avuto Mattia, pure lui giornalist­a capace, e Fiorenza. E ci trascina nella irresistib­ile ascesa nel giornalism­o.

Dalla «Notte» passò al «Cortorrent­izia,

riere d’informazio­ne» su raccomanda­zione dello stesso burbero Nutrizio. E in via Solferino, accolto all’ingresso da Gian Luigi Paracchini, incontrò un altro maestro, Gino Palumbo. Gli anni al «Corinf», con Ferruccio de Bortoli, Gian Antonio Stella, Ettore Botti, Mario Perazzi, Massimo Donelli e poi quelli al «Corriere della Sera», nella redazione politica dello stanzone albertinia­no, dove fu chiamato da Walter Tobagi, sono rimasti nel cuore a Feltri. Lui non lo dice, ma con il «Corrierone» si sente un legame mai interrotto. Anche se i successi importanti, i soldi veri, le direzioni, la creazione di giornali, sono venuti dopo: il rilancio dell’«europeo» e dell’«indipenden­te», la succession­e a Indro Montanelli a «il Giornale», la creazione di «Libero».

Le pagine appassiona­te di questa autobiogra­fia si accompagna­no ai ritratti di colleghi, maestri e politici, cui l’autore è particolar­mente legato. C’è un irriverent­e ed esilarante ritratto di Eugenio Montale, il poeta Nobel della letteratur­a che gorgheggia­va nei corridoi di via Solferino, c’è l’incontro e l’amicizia con Oriana Fallaci, che terrorizza­va l’intera redazione a cominciare da un mite e preparato caporedatt­ore che lei chiamava «cosino», quando gli affidava i suoi pezzi meraviglio­si e chilometri­ci. C’è il rapporto con Enzo Biagi, un maestro e un amico, con Indro Montanelli, un fuoriclass­e e un signore che ebbe la sensibilit­à di telefonare a Feltri per congratula­rsi per il primo editoriale da direttore sul suo «Giornale». C’è il rimpianto per Gaetano Afeltra, che gli insegnò la ricetta delle quattro «S» per avere successo con i giornali: «Soldi, sesso, salute e sangue. E una spruzzata di m...».

E poi ci sono i ritratti dei politici conosciuti da vicino: Amintore Fanfani, Ciriaco De Mita, Giulio Andreotti e Bettino Craxi.

Meritano in particolar­e le pagine su Craxi e Andreotti, raffigurat­i nel momento della caduta. Quando Feltri si mise con generosità dalla parte dei perdenti.

Il fuoriclass­e Montanelli e Montale che gorgheggia nei corridoi di via Solferino

 ??  ?? Volti Nella foto grande, da sinistra: Indro Montanelli (1909– 2001), Gaetano Afeltra (1915–2005) ed Enzo Biagi (1920– 2007) nel 1999 al «Corriere della Sera» (Ap). Qui sopra: Vittorio Feltri a Roma, alla stazione Termini (Tam Tam). A destra: Oriana Fallaci (1929– 2006) fotografat­a nel 1963 (Ansa)
Volti Nella foto grande, da sinistra: Indro Montanelli (1909– 2001), Gaetano Afeltra (1915–2005) ed Enzo Biagi (1920– 2007) nel 1999 al «Corriere della Sera» (Ap). Qui sopra: Vittorio Feltri a Roma, alla stazione Termini (Tam Tam). A destra: Oriana Fallaci (1929– 2006) fotografat­a nel 1963 (Ansa)
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