Gioco, divertimento, atti politici in una nobile gara di eloquenza
Il documentario di de Freitas girato in Francia: trionfo dell’arte retorica
Elogio della parola in tempi di trionfo dell’immagine, orgogliosa difesa della cultura linguistica di fronte agli attacchi che sintassi e grammatica ricevono quotidianamente (la scena in cui il poeta francese Loubaki Loussalat costringe un aspirante rapper a scandire le sillabe delle sue composizioni per farsi capire è da antologia), atto politico contro le discriminazioni di sesso, razza e naturalmente di censo, ma anche occasione di gioco e divertimento (interpretare scenette quotidiane usando solo nomi di frutta e verdura è un’occasione di comicità degna dei fratelli Marx): tutto questo e ancora di più esplode come una cascata di fuochi d’artificio in quel trionfo dell’arte retorica che è il concorso Eloquentia raccontato dal film A voce alta – La forza della parola.
L’idea di una prova dove misurare le proprie abilità espositive è nata nel 2013 all’università Paris 8 (Saint-denis), frequentata soprattutto da figli di immigrati e di famiglie non particolarmente abbienti. Per sei settimane gli studenti che si sono iscritti al concorso frequentano lezioni di retorica, di espressione corporea, di respirazione, di poesia per prepararsi a una gara a eliminazione dove ognuno dovrà presentare delle composizioni personali su temi predefiniti. Ma fin dalla primissima lezione dell’avvocato Bertrand Périer si capisce subito che il tono non sarà cattedratico e nozionistico ma creativo e souna prattutto divertente. Per chi partecipa ma anche per lo spettatore che le segue, grazie a una macchina da presa molto mobile e molto curiosa, capace (per essere riuscita a «mimetizzarsi» tra i partecipanti al corso) di cogliere anche le più piccole sfumature e gli improvvisi scatti di tono o di umore.
Mentre il film procede scopriamo insieme ai sogni e alle timidezze dei concorrenti anche scampoli della loro vita privata: l’aspirante attore che deve fare ogni giorno diversi chilometri a piedi per raggiungere l’università, la figlia di profughi siriani che non può dimenticare lo strazio e i drammi della sua terra, il figlio di immigrati clandestini che ha cominciato a vivere in vera casa solo da adolescente o quello che viene da un’ambiente dove aveva l’impressione che «sapersi esprimere correttamente era più un male che un bene» o ancora il giovane con doppio cognome (nobile?) che studia cinema e non può esimersi dall’ironizzare sulle disgrazie altrui. Tanti modi di essere che corrispondono anche a tanti modi di esprimersi e che il documentario di Stéphane de Freitas (figlio di immigrati portoghesi e tra i fondatori del concorso Eloquentia) ci racconta con la semplicità e l’immediatezza con cui si fa amicizia a scuola o in vacanza. Superando tutte le barriere.
Alcune lezioni sono vere e proprie scenette comiche, anche per la straordinaria preparazione pedagogica di chi insegna e sa fin dove spingersi per forzare le difese caratteriali degli allievi oppure dove invece usare le armi della convinzione e dell’esempio. Se provare a esprimersi utilizzando solo nomi di frutti aiuta a trovare intonazioni ed espressioni capaci di sostituirsi al senso delle parole, lo sforzo di comporre una poesia partendo da frasi obbligate (Io sono…, io vado…, io dico…) costringe a trovare forme inusuali per espressioni comuni e imparare a «dare corpo e spessore alle proprie idee». Ma soprattutto rivela un’idea della pedagogia e dell’insegnamento in sintonia con il mondo contemporaneo, dove vita e apprendimento si intrecciano in maniera finalmente non conflittuale (come dimostra anche l’uso diffusissimo dei ritmi rappati, usati dagli allievi ma a volte anche dagli insegnanti).
Perché la vera scommessa del film è quella di dimostrare come dietro l’uso della parola si nasconda l’uso che ognuno di noi fa della propria vita, monotona e ripetitiva come chi si limita a usare poche e scontate parole, complessa e ricca di sorprese come chi sa sfruttare fino in fondo tutte le possibilità offerte dalla propria lingua. Senza naturalmente dimenticare che proprio un miglior utilizzo delle proprie capacità linguistiche può permettere quel salto di qualità (e di classe) capace di annullare gli handicap che la nascita ha lasciato a ognuno e che invece la cultura può permettere di superare.
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Lo spettatore scopre sogni, timidezze e scampoli di vita privata dei concorrenti: dall’aspirante attore alla figlia di profughi siriani