Luisa Ranieri non basta a salvare «La vita promessa»
Sicilia, 1921. Carmela Carrizzo (Luisa Ranieri), madre di cinque figli e moglie di Salvatore (Marco Foschi), coltiva la terra del barone Lanza, il cui campiere, Vincenzo Spanò (Francesco Arca), è un uomo senza scrupoli. Spanò costringe Carmela a emigrare in America, dopo averle massacrato di botte un figlio e ucciso il marito (Rai1, domenica e lunedì, ore 21,25).
Ambientata tra il 1920 e il 1930, La vita promessa narra le vicende di una «madre coraggio» (Bertold Brecht in versione mélo) nella New York del proibizionismo, tra telenovela e crime story. Coprodotta da Rai Fiction e Picomedia, la serie è nata da un’idea di Laura Toscano, creatrice, insieme con il marito Franco Marotta, della fortunata serie del Maresciallo Rocca, e morta nel 2009. La sceneggiatura (o la revisione della medesima, non conosciamo i materiali originali) è di Simona Izzo; la regia di Ricky Tognazzi.
La scrittura di Laura Toscano era sorretta da un’ironica grazia, il suo tratto inconfondibile era la dedizione al racconto, soprattutto nella cura dei dettagli, il percorso passionale, la commedia umana innestata sulla struttura del poliziesco. La vita promessa è di altro genere, in senso tecnico. Più che C’era una volta in America di Sergio Leone o Nuovomondo di Emanuele Crialese, tanto per citare due dei tanti film che hanno trattato l’argomento, la serie si avvicina di più allo stile della soap spagnola (Il segreto, giusto per fare un nome) dove gli snodi narrativi vengono un po’ calati dall’alto, come succede nei fotoromanzi. Il drammatico arrivo a Ellis Island, luogo magico e terribile, è buttato via, senza il pathos necessario.
Tutta la vicenda ruota attorno a Luisa Ranieri, brava e bella. Fin troppo bella, per il ruolo che deve sostenere (anche nei momenti più drammatici le sopracciglia sono curate in maniera perfetta). Però, senza di lei, l’impianto narrativo non reggerebbe.