UN DIKTAT PER TACITARE I MALUMORI NEL MOVIMENTO
Il diktat del vicepremier Luigi Di Maio al ministro dell’economia, Giovanni Tria, è a dir poco irrituale. Pretendere che «trovi i soldi», perché «un ministro serio i soldi li deve trovare», rivela una concezione singolare del ruolo di chi governa e deve tenere i conti in ordine. Forse, la sua uscita va letta in controluce e inquadrata nei malumori crescenti nel Movimento Cinque Stelle: malumori verso il suo leader e la subalternità alla Lega di Matteo Salvini. Solo il nervosismo per il timore di non mantenere le promesse può spiegare parole così ruvide.
A questo si aggiungono il pasticcio delle Olimpiadi invernali, sballottate tra Torino, Milano e Cortina; e il ritardo nella scelta del commissario per gestire la ricostruzione del ponte crollato a Genova. Emerge una maggioranza nella quale la formazione maggiore, quella di Di Maio, sembra sentirsi insicura. E cerca di forzare sulla manovra, non riuscendo a imporre gli obiettivi che si è prefissa. Il risultato non è tanto quello di logorare Tria, ma di confermare tensioni e confusione nell’esecutivo.
«Nessuno ha chiesto le dimissioni del ministro dell’economia ma pretendo che trovi i soldi per gli italiani», lo ha strattonato il capo del M5S. «Non possono più aspettare». Di Maio, in partenza per la Cina, evidentemente sa che un’uscita di scena di Tria terremoterebbe il governo sul piano internazionale; e che un successore non potrebbe proporre ricette diverse: a meno di far saltare i conti pubblici e vedere schizzare alle stelle gli interessi sui titoli di Stato. Per questo ha aggiunto che «nessuno ha chiesto le dimissioni di Tria».
Ma il tentativo di condizionarlo in vista della manovra sta assumendo toni parossistici. «Il percorso bilanciato» tracciato dal ministro per conciliare «bisogni sociali e requisiti economici», non basta: soprattutto perché Di Maio soffre il protagonismo di Salvini; i rapporti freddi ma mai recisi con Silvio Berlusconi; e i sondaggi che danno i Cinque Stelle in calo a favore del Carroccio. Dunque, Di Maio alza la voce con Tria rivolto prima ancora a quei settori del Movimento che non digeriscono il sodalizio con Salvini; e ritengono poco incisivo il loro vicepremier.
Il colloquio dei giorni scorsi a casa Berlusconi ha rianimato tra i grillini il sospetto che Salvini sia pronto a accogliere alcune richieste in materia televisiva. Lo confermano le parole irritate del ministro per il Sud, Barbara Lezzi. «Salvini può dare le garanzie che vuole a Berlusconi». Ma «noi non gli faremo nessun regalo...». Si tratta di una durezza verbale che non prelude a rotture. Non esistono alternative visibili al governo tra M5S e Lega. La variabile è che i contrasti accumulati alla fine sfuggano di mano; e che le divisioni esplodano.