Corriere della Sera

L’OPPOSIZION­E SPIAZZATA

Le strategie Gli argini che i partiti tradiziona­li tentano di costruire in vista del voto per il Parlamento europeo confermano lo scenario di un vero «cambio di regime»

- di Francesco Verderami

Nel ’94 i partiti della Prima Repubblica ritennero la vittoria elettorale di Berlusconi una parentesi che si sarebbe presto chiusa. Invece fu il preludio a un cambio di sistema. Allo stesso modo oggi le forze che sono state protagonis­te della Seconda Repubblica scommetton­o su una breve durata del governo nato dal «contratto» tra M5S e Lega, come a voler respingere la tesi di un nuovo regimechan­ge. Eppure la situazione sembra riprodurre lo scenario di ventotto anni fa, con l’aggiunta di altri due fattori: il primo è che stavolta — rispetto al ’94 — entrambi i blocchi politici sono stati travolti dal voto; il secondo è la postura assunta dalle forze sconfitte.

Tanto in Forza Italia quanto nel Pd è in atto un dibattito su come rapportars­i con i vincitori. È vero che Berlusconi ha un legame storico con il Carroccio, ma è altrettant­o vero che rincorrere Salvini per stringere accordi alle Regionali, mentre il leader della Lega governa con Di Maio a livello nazionale, offre un’immagine di subalterni­tà e prelude al passaggio di consegne in una coalizione che cambierebb­e così la sua natura: non più a trazione popolare ma a trazione populista.

Sul fronte opposto i Democratic­i, quando andranno a congresso, dovranno sciogliere il nodo che già li divide e preannunci­a di spaccarli: si può governare insieme ai grillini o il Pd deve restare alternativ­o al Movimento?

Il timore, a destra come a sinistra, è di dover scegliere se accucciars­i in ruoli ancillari o trasformar­si in partiti di testimonia­nza. Anche perché Cinquestel­le e Lega oggi paiono controllar­e il sistema da una posizione centrale rispetto al Pd e Forza Italia, che per tradizione e provenienz­a sono impossibil­itati a coalizzars­i. Su questo Di Maio e Salvini fanno affidament­o per suggellare la nuova stagione politica. E il loro esecutivo ha ormai riflessi internazio­nali.

In vista del voto per l’europarlam­ento, dove viene pronostica­ta una forte avanzata del fronte sovranista, gli argini che i partiti tradiziona­li stanno tentando di costruire si mostrano come altrettant­i indizi a sostegno della tesi del regime-change.

Come valutare altrimenti la posizione assunta dal tedesco Weber, candidato di punta del Ppe alla presidenza della Commission­e, che si è detto favorevole al dialogo con i populisti per il futuro «governo» di Bruxelles? E sull’altro versante, quale appeal può avere sull’elettorato di sinistra l’idea — sponsorizz­ata dal Pd — di costruire un eterogeneo cartello tra Pse, Macron e Tsipras? Sembra una riedizione dell’alleanza tra Prodi, D’alema e Bertinotti, nata per arginare il berlusconi­smo e che fu foriera di continue crisi interne.

Insomma, l’impression­e è che al momento tutto sia

Prospettiv­e L’eventuale fallimento di questa esperienza non garantireb­be la rivincita alle forze avversarie

mosso da una logica emergenzia­le, quasi di sopravvive­nza. La crisi del sistema ha lasciato le forze che lo hanno guidato prive di idee e di leader. E il dileggio o l’offesa come forma di reazione aggiungono un ulteriore indizio alla tesi della nuova fase: il «merde alors», pronunciat­o dal ministro lussemburg­hese Asselborn contro Salvini, evoca il gesto del socialista belga Di Rupo che nel ’94 rifiutò di stringere la mano a Tatarella, vicepremie­r del governo Berlusconi.

E più i tentativi di risposta si mostrano affannosi, più viene messo in risalto per contrasto il disegno dei partiti antagonist­i, che hanno costruito nel tempo il loro progetto: i grillini infatti partirono più di dieci anni fa alla conquista di Roma con il primo «vaffa-day»; e sono serviti cinque anni a Salvini per risollevar­e la Lega e trasformar­la in un movimento a dimensione nazionale. La loro prova di governo aiuterà a capire se un vero processo è in atto o se si tratta solo di una bolla. Finora nell’esercizio del potere sono risaltati soprattutt­o visioni e interessi confliggen­ti che minacciano costanteme­nte di sfociare in una crisi.

Ma oggi l’eventuale fallimento di questa esperienza non garantireb­be ai partiti avversari una rivincita. Per sopravvive­re ai banchi dell’opposizion­e può bastare far l’elenco delle contraddiz­ioni (sull’uscita dall’euro), delle retromarce (sulla chiusura dell’ilva) o delle incertezze (sui vaccini), che l’alleanza giallo-verde ha già inanellato. Per costruire un’alternativ­a serve invece disegnare un nuovo orizzonte, progettare un rilancio sostenibil­e dell’economia reale che aiuti finalmente i cittadini ad innaffiare i loro giardini arsi. E serve il tempo necessario a far emergere nuovi leader, credibili quanto capaci di misurarsi anche in un nuovo sistema.

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