Dieci ritratti ravvicinati di scrittori L’amicizia è una ragione di vita
G ratitudine, ammirazione, amicizia. Da questi sentimenti poco attuali nasce il libro di Franco Marcoaldi, Una certa idea di letteratura (Donzelli), e su questi sentimenti si fonda l’«idea di letteratura» che ispira i suoi dieci ritratti ravvicinati di altrettanti scrittori. Ritratti ravvicinati anche quando l’autore di cui si parla è una persona che Marcoaldi ha solo sfiorato nella sua carriera di giornalista o non ha potuto neppure conoscere personalmente per semplici ragioni anagrafiche (Svevo, Unamuno, Musil, Canetti). E sono proprio questi ultimi casi (quasi «memorie prenatali», come le chiamerebbe Arbasino) quelli che mostrano al meglio la temperatura del libro: quando scatta la scintilla che ti fa amare le pagine di uno scrittore, non ti resta che assecondare quella adesione naturale, umanissima, poco importa averlo incontrato, conosciuto, frequentato, perché è come se...
Si esce dal libro di Marcoaldi con una convinzione: la letteratura è un’amica generosa se trova disponibilità e ascolto; ripaga questa disponibilità lasciandosi percorrere, attraversare liberamente in superficie e penetrare in profondità regalando sorprese continue. Sono letture libere, idiosincratiche quelle in cui ci accompagna Marcoaldi, letture di un poeta che dialoga con i suoi «amici» (ai nomi citati si aggiungono Zanzotto, Szymborska, Hrabal, Caproni, Brodskij, Meneghello) e non di un critico che analizza e seziona. Marcoaldi non scrive saggi ma narra le sue personali passeggiate, lungo le quali si sofferma qua e là a cogliere un’erba, un fiore, ad assaporare un profumo, a osservare una pianta, un piccolo habitat, un ampio panorama. Non propone «un’idea di letteratura», al modo del critico-filologo Contini che ha scritto Un’idea di Dante, ma una certa idea di letteratura: dove l’aggettivo sembra indebolire e invece rafforza, di sicuro rende ancora più soggettivo il viaggio invitando alla prossimità confidente e allo scambio. Beninteso, anche quando non coincide con l’incontro fisico, è sempre un rapporto molto corporale, sensuale con il linguaggio e con l’immaginazione. E dove invece la vicinanza è de visu il ritratto si materializza netto e vivido, come la faccia quadrata di Hrabal, «maniscalco della parola», la figura affilata di Caproni, l’andatura svelta e il ciuffo di Meneghello.
Si torna al significato etimologico dell’amicizia — che non ha nulla a che vedere con le declinazioni social — come empatia, fiducia nell’altro, una «ragione di vita»: la stessa che Zeno Cosini va trovando nella scrittura pur con il sospetto che quella ragione coinciderà con un’insufficienza del senso. Volendo individuare un tratto in comune a questi diversissimi autori-amici (spesso chiamati per nome di battesimo), il più evidente è il loro sguardo di sguincio, di striscio, sul mondo (simmetrico alla coda dell’occhio che li guarda, quello di Marcoaldi). Postura che si accompagna con l’interrogazione inquieta sul senso dello scrivere e nel contempo con il totale abbandono a quell’atto misterioso e per lo più destinato all’insoddisfazione. Si potrebbe trasferire alla letteratura quel che Unamuno attribuisce alla fede, intesa non come «l’adesione a una teoria astratta, ma a qualcosa di vivo, pulsante»: «Facoltà di ammirare e di fidarsi». Invito alla fiducia in un mondo sfiduciato e all’esercizio dell’ammirazione in un mondo autoriflesso e narcisista: letteratura come ineguagliabile forma di resistenza al (proprio) tempo.
È molto significativa la frase che si trova nelle ultime pagine de I turbamenti del giovane Törless di Musil: «Così come sento i pensieri prendere vita in me, così sento che qualcosa vive in me quando i pensieri tacciono». Quel che Marcoaldi mette in luce e individua come elemento vivificante dei suoi amici è l’ambivalenza (altro tratto comune) quale capacità di vedere (e considerare e far convivere) il recto e il verso della realtà, le stesse opposizioni e confusioni che non finiscono di turbare ciascuno di noi: tra sentimento e ragione in primis, tra fedeltà e tradimento, tra tenace nostalgia dell’adolescenza e necessità di crescere (in Svevo), tra bellezza e necrosi dell’universo (Zanzotto), tra incanto e disperazione (Szymborska), tra mutismo ed espressione furibonda (Hrabal), tra io e altro (Caproni), tra frammentazione e unità (Canetti), tra combattività e fatalismo (Brodskij), tra chiarità e segretezza (Meneghello). Dove ogni elemento, da cui ne germogliano altri, si scambia senza sosta il segno più e il segno meno. È in quel continuo e incerto baluginare che si trova la letteratura, ed è lì che si trova anche la vita. Questo libro è un bel modo, gentile, fascinoso, utile e apparentemente distratto, di stare dalla parte dell’una e dell’altra. E di mostrarci come l’una sostiene e aiuta l’altra. E come la loro coesistenza aiuta noi.
Metodo
L’autore è mosso dall’ammirazione Non si pone come critico che analizza