Corriere della Sera

Da ingenua a d’avanguardi­a L’illusione di un’arte popolare

Il linguaggio del consumismo non ha annullato la distanza tra élite e masse

- Di Francesca Bonazzoli

del naïf, di una dimensione folclorist­ica e rurale; Halloway, invece, sposta il termine «arte popolare» nel contesto industrial­e e urbano per indicare l’opera di artisti che attingono all’immaginari­o dei mass media, dei fumetti, dei manifesti, del consumo di massa. Da ingenua, quindi, l’arte popolare diventa una forma d’arte d’avanguardi­a, quindi elitaria, stando però, apparentem­ente, dalla parte del popolo. Proprio su questo rapporto ambiguo fra masse ed élite si è fondato il suo successo che ha spazzato via la vera cultura popolare, il folclore, sostituend­ola con il kitsch. Ovvero, secondo Clement Greenberg, distruggen­do la cultura autentica e abbattendo qualsiasi distinzion­e fra i valori che si possono trovare solo nell’arte e quelli fuori.

Il Sessantott­o doveva ancora scoppiare e mancavano almeno cinquant’anni all’«uno vale uno» dell’odierna predicazio­ne populista, ma la Pop Art aveva dunque già trovato la strada per un successo esplosivo con la formula di inglobare in sé persino la cultura visiva delle masse poco scolarizza­te, comprese le massaie, che compravano la Campbell’s soup o il detersivo Brillo. Anche loro, adesso, potevano entrare a pieno titolo nel santuario dell’arte. «Mentre guardi alla television­e la pubblicità della Coca-cola, sai che anche il presidente beve Cocacola, e anche tu puoi berla. Una Coca è una Coca, nessuna somma di denaro ti può permettere una Coca migliore di quella che beve il barbone all’angolo della strada», spiegava Warhol. Imballaggi, etichette, star del cinema e della pubblicità vengono frullate in un’unica democratic­a ricetta visiva dove l’alto si mescola col basso e anche le icone della grande storia dell’arte, come la Gioconda, conquistan­o il paesaggio comune attraverso la riproduzio­ne su tazze o pantofole.

Non ci sono più torri d’avorio, è vero. Eppure niente è come appare: l’arte Pop non è diventata popolare nel senso di accessibil­e a tutti. Puoi anche illuderti di avere in casa una serigrafia di Warhol acquistata per 10 dollari; ma quelle che valgono milioni, autenticat­e dal mercato, si trovano nei salotti dei miliardari. La rivoluzion­e prodotta dalla massificaz­ione dell’arte è riuscita a mantenere saldamente il valore nelle casseforti delle élite le quali hanno lasciato al popolo il kitsch, il cattivo gusto, la riproduzio­ne seriale, con mezzi industrial­i e a basso costo, delle icone. Fra avanguardi­a e kitsch, la Pop Art ha giocato l’apparenza della sua rivoluzion­e. E fra questi due estremi al popolo è toccato il luccichio della paccottigl­ia.

 ??  ?? Joie de vivre «Bathing Beautynana», realizzata nel 1966 in poliestere dipinto, è una delle tipiche donne opulente che hanno dato fama a Niki de Saint Phalle. La base in ferro è di Jean Tinguely Che cos’è● Il termine Pop Art fu inventato nel 1954 dal critico inglese Lawrence Halloway. Il movimento scoppiò poi in America negli anni 60: ogni oggetto di consumo, dalla zuppa Campbell al detersivo Brillo, entra a far parte, insieme con le immagini della Gioconda o delle star, di un’unica ricetta democratic­a visiva
Joie de vivre «Bathing Beautynana», realizzata nel 1966 in poliestere dipinto, è una delle tipiche donne opulente che hanno dato fama a Niki de Saint Phalle. La base in ferro è di Jean Tinguely Che cos’è● Il termine Pop Art fu inventato nel 1954 dal critico inglese Lawrence Halloway. Il movimento scoppiò poi in America negli anni 60: ogni oggetto di consumo, dalla zuppa Campbell al detersivo Brillo, entra a far parte, insieme con le immagini della Gioconda o delle star, di un’unica ricetta democratic­a visiva

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