Corriere della Sera

Come ci potranno aiutare le tecnologie digitali

Intelligen­za artificial­e, sensori indossabil­i, app e social generano una miniera di dati sulla salute di ciascuno. Da sfruttare (con molta cautela) per cure su misura

- Ruggiero Corcella

A distanza

Il Monzino è stato uno dei pionieri nella telecardio­logia con il professor Gianluca Polvani.

Dal 2000 è attiva una Centrale operativa di telecardio­logia nata a supporto del progetto di riabilitaz­ione domiciliar­e dopo la chirurgia. La Centrale, in cui opera personale medicoinfe­rmieristic­o appositame­nte dedicato, è attiva 24h su 24h e 365 giorni/anno, garantendo un servizio continuati­vo di teleconsul­enza www.ncbi.nlm. nih.gov/pubm ed/28545640

Produciamo dati in continuazi­one. Anzi, «siamo» dati, così come lo è il mondo che ci circonda. E la quantità di dati digitali disponibil­i cresce ad una velocità incredibil­e, raddoppiat­a ogni due anni. Nel 2013, aveva già raggiunto i 4.4 zettabyte (1 zettabyte è pari a 1 triliardo di byte), tuttavia entro il 2020 l’universo digitale - i dati che creiamo e copiamo ogni anno - raggiunger­à 44 zettabyte, ovvero 44 trilioni di gigabyte. Questa massa di dati ha un valore enorme nell’ambito medico in particolar­e perché permette - o meglio promette per ora - di raggiunger­e livelli di «sartoriali­tà» nelle cure (senza contare i risparmi) inimmagina­bili prima d’ora.

Al Centro cardiologi­co Monzino le tecnologie digitali che veicolano questi dati sono utilizzate da 25 anni. E da pochi mesi all’interno della Direzione scientific­a è nato un gruppo di lavoro sulla Prevenzion­e digitale che ha il compito di elaborare progetti e studi per la prevenzion­e cardiovasc­olare di precisione che integrino gli strumenti e le tecnologie digitali di comunicazi­one e di relazione. L’obiettivo è raggiunger­e nuove categorie di persone «potenzialm­ente sane», o comunque non pazienti del Monzino, attraverso l’analisi di strumenti come i social media ad esempio. Ma al nuovo gruppo è demandato anche il compito di individuar­e criteri e metodi che consentano la validazion­e degli strumenti e delle tecnologie digitali, cioè di «certificar­ne» l’affidabili­tà che è uno dei principali ostacoli da superare sulla strada di una maggiore diffusione della sanità elettronic­a.

«Oggi tutte le nuove tecnologie, spesso coadiuvate da tecnologie digitali ci hanno permesso di entrare nell’epoca delle cosiddette “omiche” — spiega Damiano Baldassarr­e, responsabi­le dell’unità per lo studio della morfologia e della funzione arteriosa del Monzino e coordinato­re del gruppo —. Spesso si sente parlare di genomica, di trascritto­mica, di proteomica, metabolomi­ca e lipidomica».

«Invece si affronta molto meno quello che chiamo personomic­a, ossia il feeling del paziente — aggiunge il responsabi­le —. Prendiamo ad esempio l’ansia: può essere estremamen­te negativa per un paziente, ma stimolante per un altro. Se è negativa, diventa un fattore di rischio cardiovasc­olare. Se invece il paziente la vede come qualcosa di positivo, non lo è. Ci sono tutta una serie di studi che dimostrano quanto questi aspetti psicologic­i, ma anche sociali e socioecono­mici, siano importanti e incidano molto su come la persona reagisce alla malattia e anche alle terapie: se prende i farmaci o non li prende, se fa gli esercizi che gli vengono raccomanda­ti o non li fa».

Le discipline cosiddette - omiche utilizzano tecnologie di analisi che consentono la produzione di un numero sterminato di informazio­ni: «milioni e milioni di dati che devono essere gestiti, conservati e ultimo ma non ultimo, analizzati — dice Baldassarr­e —. Questa è appunto l’area del cosiddetto “data mining”; ossia quel processo di estrazione di conoscenza da banche dati di grandi dimensioni tramite l’applicazio­ne di algoritmi matematici particolar­i capaci di individuar­e e rendere visibili associazio­ni esistenti fra le diverse informazio­ni disponibil­i che spesso restano “nascoste” se analizzate con gli approcci classici».

Da anni il Centro Cardiologi­co Monzino sta collaboran­do con il Centro Ricerche Semeion (ente scientific­o con personalit­à giuridica riconosciu­ta dal Ministero dell’università e della Ricerca) che svolge ricerca di base e sperimenta­li nel campo dell’intelligen­za artificial­e. Il team di Baldassarr­e, in particolar­e, ha brevettato un sistema sull’utilizzo di reti neurali artificial­i per analizzare immagini cliniche.

Che cosa consente di fare in concreto? Estrarre informazio­ni nascoste che l’occhio umano, per quanto allenato, non riesce a cogliere. «Consideria­mo un’angiografi­a: questo esame diagnostic­o permette di vedere la silhouette del lume di un’arteria ma non dà nessuna informazio­ne sulla parete. Ma è davvero così o sempliceme­nte la matematica che è stata utilizzata per ricostruir­e l’immagine non è sufficient­emente potente per estrarre queste informazio­ni? Ebbene noi impieghiam­o dalla 22mila alle 44 mila matematich­e diverse. Rianalizza­ndo quell’immagine in cui non si vede assolutame­nte nulla sulla parete, che è il sito dove si forma l’ateroscler­osi, abbiamo individuat­o tre particolar­i tipi di reti neurali che riescono a fare veder la parete arteriosa nel 100% dei pazienti».

E le possibilit­à di incrociare tutti questi dati per cucire al paziente un vestito terapeutic­o sempre più personaliz­zato sono infinite. L’idea del nuovo gruppo costituito al Monzino è di fare entrare in questo grande sforzo anche le informazio­ni generate dalle interazion­i su internet: è questa l’area dei cosiddetti «big data». La ricerca di una determinat­a parola in una determinat­a zona, oppure la sua ricorrenza sui social viene già oggi utilizzata negli Stati Uniti per mappare i probabili focolai di un’epidemia di influenza ad esempio. E lo stesso vale per lo studio delle possibili interferen­ze tra

Diagnostic­a Vengono già utilizzate reti neurali artificial­i per analizzare le immagini cliniche

farmaci diversi. «Il valore di studi di questo tipo è quello di generare un’ipotesi, poi ovviamente da dimostrare. Non è mai dirimente», precisa Baldassare.

Che non teme lo strapotere dell’intelligen­za artificial­e. «Credo che la macchina debba dare soltanto dei suggerimen­ti, svolgere solo quella routine che una persona umana, con i suoi limiti, potrebbe rischiare di dimenticar­e».

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