Le nuove linee-guida per la pressione alta
Le indicazioni degli esperti europei stabiliscono come limiti 140 di «massima» e 90 di «minima» Ma negli anziani attenzione a non esagerare
Primo messaggio per chi ha la pressione alta: cominciare subito la terapia con due farmaci antipertensivi, possibilmente in una sola pillola, e non, come si è sempre consigliato, con un solo farmaco cui via via se ne poteva associare un altro, se il primo non funzionava. Il cosiddetto trattamento «a gradini» è tramontato.
Secondo: avere come obiettivo della cura quello di mantenere la pressione massima (sistolica) sotto i 140 millimetri di mercurio (mmhg) e la minima sotto i 90.
Ecco, in sintesi estrema, le raccomandazioni delle nuove linee-guida per il trattamento dell’ipertensione arteriosa messe a punto dalla European Society of Cardiology (Esc) e dalla European Society of Hypertension (Esh) , presentate durante il congresso annuale dell’esc da poco conclusosi a Monaco di Baviera.
L’ipertensione è una patologia per cui da tempo non si segnalano grandi novità in fatto di terapia: i farmaci esistono, sono tanti e sono efficaci; il problema è prescriverli correttamente (da parte del medico) e assumerli altrettanto correttamente (da parte del paziente). «L’ipertensione è una condizione cronica e silente che non sempre viene adeguatamente diagnosticata — ha detto a Monaco Guy De Backer dell’università di Ghent in Belgio, uno dei revisori delle linee-guida europee . — Ma anche quando viene diagnosticata, spesso non viene tenuta sotto controllo».
Eppure l’ipertensione è uno dei principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari (infarti, ictus, arteriopatie periferiche): in Italia ne soffrono almeno 15 milioni di persone e sono 280 mila i decessi causati, ogni anno, dalla malattia.
«La diagnosi di ipertensione la deve fare il medico, al netto di quello che può essere l’effetto “camice bianco” (cioè l’aumento della pressione per lo stress di trovarsi in un ambulatorio, ndr) – commenta Giuseppe Mancia, professore Emerito dell’università Milano Bicocca e presidente della task force dell’esh che ha messo a punto le nuove linee-guida - Semmai possono aiutare, come conferma, le misurazioni che il paziente può fare a domicilio. E anche quelle che derivano dal monitoraggio della pressione nelle 24 ore, grazie a un apparecchio chiamato Holter pressorio».
Fatta la diagnosi, non è detto che si sia a cavallo. Perché, nella pratica, sorgono almeno due problemi che riguardano, rispettivamente, i pazienti e i medici.
Una buona percentuale dei persone, infatti, non aderisce alla terapia vuoi perché non ha sintomi e non accetta l’idea di prendere pillole tutti i giorni, vuoi perché non percepisce i reali rischi che corre. Eppure i farmaci possono controllare bene la pressione nel 90-95 per cento dei casi, ma solo il 15-20 per cento dei pazienti riesce a centrare gli obiettivi del trattamento.
Poi c’è l’ «inerzia terapeutica» dei medici: l’80 per cento dei pazienti in monoterapia, che assumono, cioè, un solo farmaco, ne richiederebbero un secondo che il medico, però, non prescrive. Per inerzia, appunto.
Ecco perché le nuove linee-guida raccomandano di cominciare il trattamento con due farmaci, meglio se in un’unica compressa,anziché uno: per aumentare l’efficacia e l’aderenza alla terapia.
E arriviamo al tema centrale: quali sono i livelli di pressione ottimali da raggiungere con la cura ? Qui le linee-guida europee (che aggiornano quelle del 2013) differiscono da quelle, più aggressive, delle società scientifiche americane (di cui si è parlato sul Corriere Salute del 8 febbraio 2018).
«Gli americani sono “trancianti” – commenta Mancia – suggeriscono di ridurre la pressione sotto i 130 mmhg, in tutti, anche negli anziani. Per noi, europei, invece, l’obiettivo è scendere sotto i 140-90, anche per i cosiddetti ipertesi lievi che hanno valori fra i 140 e i 159 mmhg: finora a questi pazienti non si somministravano farmaci, ma si suggeriva un corretto stile di vita. Per gli anziani, oltre i 65 anni, invece, l’obiettivo è arrivare sotto i 150».
Una domanda: è vero che quanto più riduco i livelli di pressione tanto più saranno grandi i benefici nel senso di una riduzione del rischio cardiovascolare?
«Non è proprio così – commenta Mancia –. Se scendo dai 150 mmhg (o più) sotto i 140 ottengo grandi benefici nella prevenzione cardiovascolare. Ma se riduco la pressione ancora di più i benefici aggiuntivi non sono così importanti. Allora: se si sopportano bene le terapie senza effetti collaterali, vale la pena di abbassare ancora di più la pressione sotto i 140, almeno in alcune categorie di pazienti, perché c’è un po’ di guadagno in termini di riduzione del rischio cardiovascolare. Ma attenzione: in certi pazienti , soprattutto anziani, andare sotto i 130 può comportare un’aumentata probabilità di ischemia renale».
Insomma l’aumento della pressione arteriosa è una cosa seria e vale la pena sempre di mettersi in mani esperte quando si parla di cure perché ci sono mille sfumature di terapia.
Strategie
Esercizio e calo di peso rimangono in ogni caso i primi provvedimenti da mettere in agenda
Per esempio, un’altra indicazione delle linee-guida riguarda le persone che hanno una pressione fra i 140 e i 130 mmhg e hanno gia avuto incidenti cardiovascolari, tipo un infarto o un ictus.
«Per costoro - conclude Mancia - si raccomanda di prescrivere, nell’ottica di una prevenzione secondaria, una terapia antipertensiva che porti i valori sotto i 130mmhg».