Giorgio Armani Che sorpresa il colore
«Qualcuno dice che uso sempre i soliti blu e grigi», scherza lo stilista e presenta una collezione di abitini azzurri e rosa, illuminati da bagliori e iridescenze, impalpabili. «Dopo Linate, ho voglia di scrivere un’altra storia simile»
Amille ce n’è di fiabe da narrar, giusto Giorgio Armani? Incredibile e inossidabile con la sua voglia di raccontare, di sperimentare, di difendere, di attaccare.
Eccolo due giorni dopo il bagno di folla all’aeroporto di Linate non solo a dire che «dopo un impegno così la sola voglia che ho è quella di scrivere un’altra storia simile, perché Milano ha bisogno di questo e non di essere abbandonata», ma di presentare una collezione sfidando le stesse leggi dell’universo armaniano, colorandolo, per la prima volta, di colori tenui e ancestrali come il rosa e l’azzurro, o comunque chiari all’inverosimile. Per accentuare questa «voglia di leggerezza». Dimenticandosi completamente e con coscienza i suoi blu e grigi scuri. Le forme di conseguenza: nessuno crederebbe a un tailleur confetto strutturato, attendibile invece se svuotato e in tessuti di rara leggerezza e per lo più illuminati da bagliori o iridescenze e da accessori futuristici con stivaletti e sandali e zainetti di un pvc croccante. «Una donna che si fa notare, indubbiamente, non scivola via in un completo e basta».
E poi sovrapposizione e plissettature e frange per abiti impalpabili, pantaloni quasi un velo sempre morbidissimi, parka e gilet e spolverini, gonne midi o sopra al ginocchio. «Qualcuno mi diceva che facevo sempre e solo i miei colori e ora ecco qui», scherza, infastidito solo dagli echi delle critiche alla moda italiana arrivate dagli States: «Cerchiamo di restare qui e di difenderci. L’attacco dell’america arriva ogni stagione, anche a me vilmente lo sferrano sempre. Difendiamoci. Non mi pare che loro abbiano fatto un granché. Tanto è vero che non si parla mai di loro».
Non è un caso se Angela Missoni sceglie di festeggiare i 65 anni dell’azienda portando tutti di fronte allo skyline della nuova Milano e sfilando una collezione dal sapore onirico. Realtà e sogno. Potenzialità e tradizione. Ecco le chiavi di lettura di questa bella fatica italiana. La nuova acquisizione da parte del Fondo strategico italiano è stata la mossa giusta: «Siamo un brand piccolissimo, ma che ha nel mondo una enorme eco. Sembra strano, ma è così. Avevamo bisogno di qualcuno che ci prendesse per mano e ci portasse là dove con le nostre forze non saremmo riusciti a arrivare, i mercati orientali per esempio», dice la stilista che si sente un po’ il ponte fra il passato e il futuro di questa bellissima azienda. «Un po’ come questa nuova Milano, tutta da scoprire, e che si sta posizionando fra le vere metropoli». Lo show è suggestivo per via della vista e della luna e di una serie infinta di capi.
Lavinia Biagiotti sempre più sicura comincia a dire la sua senza mai perdere quel filo di maglia che la lega alla mamma Laura e alla nonna Delia. Una voglia di futuro subito. Gioco forza il richiamo all’arte di Giacomo Balla (la fondazione Biagiotti Cigna ha la collezione più grande al mondo, duecentocinquanta opere) che ispira come già aveva fatto in passato grafie e colori, che Lavinia condisce di leggerezza e gioia. Ecco abiti arlecchino corti e svelti, altri impero midi e sbarazzini, maglie impalpabili. Top e pantaloni fluidi. La freschezza si sente.