Nadia e gli altri
Nadia Toffa ha trasformato la sua malattia in un’esperienza pubblica, con il nobile scopo di convincere gli altri che le cose brutte della vita non sono baratri, ma trampolini. Alla conduttrice delle Iene risulta perciò incomprensibile la reazione stizzita, talvolta rabbiosa, di molti potenziali beneficiari delle sue parole di speranza, ora racchiuse in un libro. L’ottimismo senza eccezioni di Nadia si inserisce nel flusso di quel pensiero positivo secondo cui tutto è nelle mani dell’uomo. Ciascuno di noi, se lo vuole davvero, può debellare il male, trovare l’anima gemella, crearsi una fortuna, fare tunnel a Ronaldo, diventare bello e felice. Purtroppo la volontà non basta. C’entrano anche il destino, il carattere, il Dna. La vita, come la malattia, è un’espe- rienza individuale condizionata da una miriade di variabili quasi mai riconducibili a una ricetta collettiva.
Tante persone hanno cercato con accanimento l’amore o il lavoro dei propri sogni e poi hanno dovuto accontentarsi di compromessi mediocri, subordinando la volontà alla sopravvivenza. Affermare che «volere è potere» finisce per assegnare loro, senza volerlo, un marchio immeritato di falliti. E tanti pazienti affrontano da anni il dolore con immenso coraggio. Andrebbero considerati degli imbelli solo perché il male continua a sovrastarli? Il contagioso entusiasmo di Nadia Toffa può esaltare chi si accinge a un’impresa per la prima volta, ma anche deprimere chi ha già sperimentato i limiti della condizione umana.