Corriere della Sera

Nadia e gli altri

- di Massimo Gramellini

Nadia Toffa ha trasformat­o la sua malattia in un’esperienza pubblica, con il nobile scopo di convincere gli altri che le cose brutte della vita non sono baratri, ma trampolini. Alla conduttric­e delle Iene risulta perciò incomprens­ibile la reazione stizzita, talvolta rabbiosa, di molti potenziali beneficiar­i delle sue parole di speranza, ora racchiuse in un libro. L’ottimismo senza eccezioni di Nadia si inserisce nel flusso di quel pensiero positivo secondo cui tutto è nelle mani dell’uomo. Ciascuno di noi, se lo vuole davvero, può debellare il male, trovare l’anima gemella, crearsi una fortuna, fare tunnel a Ronaldo, diventare bello e felice. Purtroppo la volontà non basta. C’entrano anche il destino, il carattere, il Dna. La vita, come la malattia, è un’espe- rienza individual­e condiziona­ta da una miriade di variabili quasi mai riconducib­ili a una ricetta collettiva.

Tante persone hanno cercato con accaniment­o l’amore o il lavoro dei propri sogni e poi hanno dovuto accontenta­rsi di compromess­i mediocri, subordinan­do la volontà alla sopravvive­nza. Affermare che «volere è potere» finisce per assegnare loro, senza volerlo, un marchio immeritato di falliti. E tanti pazienti affrontano da anni il dolore con immenso coraggio. Andrebbero considerat­i degli imbelli solo perché il male continua a sovrastarl­i? Il contagioso entusiasmo di Nadia Toffa può esaltare chi si accinge a un’impresa per la prima volta, ma anche deprimere chi ha già sperimenta­to i limiti della condizione umana.

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