Al Quirinale un esame severo dopo l’altolà sui punti critici
I rilievi in base alla Carta tenendo conto della «libertà della politica»
L’esame comincerà oggi e già si sa che sarà attento e severo. Lo sanno i tecnici del Quirinale, che hanno scoperto i punti critici del decreto sicurezza e avvertito il governo che erano minati da una precaria costituzionalità, se non palesemente incostituzionali (vizi tali da rendere non firmabile il provvedimento da parte del capo dello Stato). E lo sanno gli uffici giuridici di Palazzo Chigi e Viminale, destinatari dell’avvertimento, che hanno avuto mandato da Giuseppe Conte e Matteo Salvini di correggere i capitoli controversi. «C’è stata un’interlocuzione al massimo livello», assicurava ieri il premier, confermando con compiacimento che un dialogo tra istituzioni è avvenuto e annunciando il via libera del Consiglio dei ministri. Resta da vedere se «le piccole limature», come ha minimizzato il leader leghista e vicepremier, saranno sufficienti.
Per Sergio Mattarella la partita è delicata. Infatti, il decreto, che accorpa in un unico testo misure sulla sicurezza e sull’immigrazione, nella sua ottica prepolitica — dunque di sensibilità culturale — è, per impianto e filosofia, «molto duro». Dunque ben poco condivisibile, da uno con la sua formazione, per certe forzature e asprezze.
Un esempio che gli è parso fuori da ogni logica e in macroscopica violazione dei diritti fondamentali presente nella prima bozza? La libertà di far espellere chiunque dall’italia solo in base a una singola denuncia o a un’azione di polizia, senza neppure il pronunciamento di un magistrato. Il che finirebbe con l’azzerare qualsiasi protezione umanitaria ai migranti.
Comunque, mettere quelle norme in cantiere e vararle «attiene alla libertà della politica», dicono dallo staff quirinalizio, alludendo al principio di neutralità che in casi come questi può legare le mani agli inquilini del Colle. Principio che però non autorizza nessuno, per quanti voti abbia raccolto nelle urne e si senta quindi rappresentante della volontà popolare, a scambiare la neutralità per complicità e a confidare in un vaglio non ostativo del presidente. Cioè benevolo a priori. Specie se colui cui spetta il preventivo controllo delle leggi e la ratifica di una nuova norma nutre seri dubbi di violazione della Carta e dei trattati internazionali. Dubbi che pertanto vanno al di là della sua scala di valori e convincimenti personali.
Ecco com’è avvenuto il monitoraggio e lo scambio d’esperienze fra i due Palazzi. Con la presidenza della Repubblica mossa dall’intento di appianare situazioni di conflitto potenziale di una
legge ancora in itinere e tenerle lontane dal punto di crisi, suggerendo le indispensabili «migliorie» prima di arrivare al voto del Parlamento. Uno schema che è valso, e vale, sia sul decretosalvini sia su quello per Genova, di cui si conoscevano finora soltanto linee vaghe e pasticciate, peraltro non condivise dall’intera maggioranza gialloverde e che i tecnici di Mattarella saranno perciò costretti ad esaminare al buio.
Per inciso: l’analisi degli specialisti del Colle al via da stamane è interesse degli stessi «azionisti» del governo, nel senso che è anzitutto interesse loro evitare una pioggia di ricorsi molto probabilmente destinati a culminare in un verdetto negativo della Corte costituzionale. In caso contrario, lo scontro che si aprirebbe con il rifiuto della firma presidenziale su una legge-bandiera per la Lega di Salvini, potrebbe avere conseguenze inimmaginabili. Sarà forse per esorcizzare prospettive fosche che ieri sera fonti dell’esecutivo assicuravano che «le mediazioni» intercorse con il Quirinale hanno dato buoni frutti.