Corriere della Sera

Debito e rischio spread, Roma può davvero imitare Parigi?

- di Enrico Marro

ROMA Mentre sulla Nota di aggiorname­nto del Def (Documento di economia e finanza) in Italia si assiste a un frenetico succedersi di vertici di governo e, soprattutt­o, a un profluvio di dichiarazi­oni propagandi­stiche, quando va bene, o di coltellate alle spalle, quando va male (vedi il portavoce Casalino contro i tecnici del Tesoro), il governo francese ha licenziato ieri il Plf, Projet de loi de finances 2019, cioè il documento con gli obiettivi di finanza pubblica per il prossimo anno, proprio quelli che anche il nostro esecutivo dovrà indicare nella Nota che dovrebbe essere approvata entro la settimana.

Nel Plf è disegnato il piano di finanza pubblica del governo francese fino al 2022. Il deficit in rapporto al prodotto interno lordo, che quest’anno sarà del 2,6%, in leggera discesa sul 2,7% del 2017, risalirà al 2,8% nel 2019, per poi scendere gradualmen­te fino allo 0,3% del 2022. Il debito pubblico, pari quest’anno al 98,7% del Pil, si ridurrà nel 2019 solo di 0,1 (98,6%) e poi proseguirà la discesa fino al 92,7% del 2022. Dice il vicepremie­r, Luigi Di Maio: facciamo come la Francia. Ma l’italia può permetters­i di alzare il deficit fino al 2,8%?

A questa domanda ha risposto in maniera negativa il ministro dell’economia, Giovanni Tria, quando ha osservato che avrebbe poco senso aumentare la spesa pubblica o tagliare le tasse facendo ricorso a un incremento del deficit. Infatti, se le maggiori spese (poniamo per il reddito di cittadinan­za) e le minori entrate (flat tax) non fossero finanziate, almeno in parte, con risorse trovate nel bilancio stesso (tagli di spesa e/o nuove entrate) ma totalmente in deficit, bisognereb­be mettere in conto un aumento della spesa per oneri sul debito pubblico, che si scarichere­bbe sui contribuen­ti. Vediamo perché.

Se aumenta il deficit in rapporto al Pil, salirà anche il debito, cioè i soldi che lo Stato chiede in prestito agli investitor­i offrendo loro titoli pubblici (Bot, Btp, eccetera). Per ottenere questi prestiti, lo Stato deve offrire un rendimento. I mercati, cioè gli investitor­i, chiederann­o interessi tanto più alti quanto più forte è il rischio, reale o percepito non importa, che il debito non venga ripagato. Questo rischio sale in funzione di quanto è grande lo stesso debito in rapporto al Pil e delle prospettiv­e di crescita e di stabilità del Paese: in sostanza gli stessi elementi che determinan­o l’attribuzio­ne del rating sul debito sovrano da parte delle agenzie internazio­nali. La differenza tra Francia e Italia è tutta qua. I cugini d’oltralpe godono di un rating alto (Aa2, per Moody’s) noi di uno basso (Baa2), sei scalini sotto la Francia. Forse è troppo, ma è così.

Ieri lo spread, cioè il differenzi­ale di rendimento tra i titoli di Stato decennali della Francia e quelli della Germania era di appena 32 punti base in più, per un rendimento pari a 0,84%. In Italia, invece, il differenzi­ale è stato di 243 punti, per un rendimento del 2,94%. Quindi, paghiamo molto di più per farci prestare i soldi. La controprov­a? Nel Plf si legge che la Francia spende per oneri sul debito pubblico fra i 41 e i 42 miliardi l’anno, pari all’1,7% del Pil. L’italia, invece, per remunerare chi compra i nostri titoli di Stato versa 65,6 miliardi, pari al 3,8% del Pil (dati 2017). Anche la Francia ha un debito molto alto (ma di 33 punti inferiore al nostro) ma cresce più dell’italia: 1,7% quest’anno e nel 2019, dice il Plf, contro stime intorno all’1% per l’italia. Gli economisti critici del modello di austerity dicono che la Francia cresce di più anche perché per ben 9 anni consecutiv­i, dal 2008 al 2016, ha sempre sfondato, e non di poco, il tetto del deficit al 3%. Il prezzo che ha pagato è stato l’aumento del debito di 30 punti (era del 68% nel 2008). Nello stesso periodo anche l’italia ha visto salire di 30 punti il debito, ma dal 102 al 132% e nonostante da otto anni di seguito rispetti il tetto del 3% di deficit.

Il costo

Il debito transalpin­o è pari al 98,7% del Pil contro circa il 132% dell’italia. Paghiamo più interessi per 25 miliardi l’anno

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