Registrazioni e «complotti», in bilico il vice della Giustizia Usa
Dimissioni o licenziamento che sia, per ora è tutto rinviato a giovedì prossimo, 27 settembre. Quel giorno Donald Trump rientrerà dall’assemblea Onu e si confronterà con il vice ministro della Giustizia, Rod Rosenstein, 53 anni, di orientamento repubblicano. Ieri mattina tumultuosa a Washington. La Cnn ha annunciato: Rosenstein andrà alla Casa Bianca e lascerà il suo posto. Una notizia clamorosa: il potenziale inizio di un’altra grave crisi istituzionale nell’era Trump. Il Deputy Attorney General ha assunto la gestione del Russiagate, l’inchiesta sulla possibile collusione tra il comitato elettorale di Trump e il Cremlino, nel marzo del 2017, quando il ministro Jeff Sessions, a sua volta tra i sospettati, si autoescluse dalla supervisione delle indagini. Nel maggio del 2017 Rosenstein, dopo che Trump licenziò il direttore dell’fbi James Comey, nominò il Super procuratore Robert Mueller, affidandogli il dossier russo. Da quel momento il vice ministro è entrato nella lista nera dello Studio Ovale, collezionando un numero impressionante di attacchi firmati da «The Donald» per lo più via Twitter. Rosenstein ha tenuto il punto, fino a quando, venerdì 21 settembre, il New York Times non ha rivelato un retroscena imbarazzante, recuperando alcuni «memo» scritti dall’allora vice direttore dell’fbi, Andrew Mccabe. Gli appunti risalgono al maggio 2017 e conterrebbero un’indicazione di Rosenstein: mettete sotto controllo le comunicazioni del presidente. Il vice ministro pare volesse raccogliere le prove sull’instabilità mentale o semplicemente sull’inadeguatezza di Trump. A quel punto il Dipartimento di Giustizia avrebbe avanzato la richiesta di rimuovere il presidente, come prevede il 25° emendamento alla Costituzione, con una procedura piuttosto complessa. Rosenstein ha smentito il quotidiano newyorkese. Ma Trump ha subito colto l’opportunità per regolare i conti con il vice ministro. Come? E qui le notizie certe si perdono nella confusione. Il presidente e Rosenstein si sono parlati nel corso del weekend e, come riferiscono i media americani, tra le ipotesi evocate nella conversazione, c’era anche quella delle dimissioni. Ieri mattina il vice ministro si è presentato alla Casa Bianca, dove ha visto il capo dello Staff, il generale John Kelly. Rosenstein avrebbe detto che non si sarebbe dimesso spontaneamente. A quel punto Kelly ha preferito rimandare a giovedì. Evidentemente non è convinto che cacciare il vice ministro della Giustizia sia una scelta saggia. Tocca a Trump decidere. E ieri sera il presidente ha detto: «Vogliamo avere trasparenza. Non vedo l’ora di incontrarlo».