Fine della solidarietà: la Cerutti garantisce i posti di lavoro riducendo l’orario
Altro che contratti di solidarietà. Il vero accordo solidale se lo sono inventato alla Cerutti, in Piemonte. Il gruppo — fondato nel 1920 da Giovanni Cerutti e ora guidato dal nipote Giancarlo — produce macchine per la stampa di giornali, etichette ma anche banconote e francobolli (compresi quelli della regina d’inghilterra). Negli stabilimenti di Casale Monferrato e Alessandria gli ammortizzatori sono finiti ieri, complice la riforma del Jobs act che nel 2015 li ha ridotti a tre anni.
Che fare? Visti i livelli della produzione, 80-100 dipendenti su 350 sarebbero di troppo. Invece di far partire le lettere di licenziamento, i dipendenti hanno accettato tutti un taglio all’orario di lavoro. A seconda del settore, si va da una riduzione
del 5 fino al 50%. Oltre all’accordo collettivo dell’azienda con Fiom, Fim e Uilm, ogni dipendente firma una revisione individuale dell’orario. Dal canto suo l’azienda integrerà gli stipendi di chi si trova costretto alle maggiori riduzioni d’orario: nessuno alla fine porterà a casa meno di mille euro al mese.
Sindacato e azienda fanno notare che l’accordo è temporaneo, il nuovo assetto infatti vale per sei mesi. Poi l’azienda conta, grazie alle uscite di chi è vicino alla pensione e alla ripresa degli ordini, di riuscire a riportare i lavoratori a tempo pieno.
Se da una parte Fiom, Fim e Uilm sono soddisfatte dell’intesa, dall’altra non vogliono enfatizzarne troppo il risultato. D’altra parte oggi alle 17 è fissato l’incontro con il ministro del Lavoro Di Maio. E l’obiettivo è strappare un allungamento della coperta degli ammortizzatori. Come dire: per il sindacato (ma anche per le imprese) il «modello Cerutti» rappresenta una soluzione per affrontare l’emergenza. Ma non si vorrebbe che diventasse la regola.