Comcast prende Sky ma Murdoch non molla La rivincita? I giornali
Lo «squalo» controlla Wall Street Journal e Fox News. L’influenza su Trump
WASHINGTON La resa di Rupert Murdoch davanti all’offerta di Comcast per Sky è un segnale che annuncia la fine di un’epoca? Il tycoon australiano, naturalizzato in America, ha 87 anni. Per quasi cinquant’anni è stato una delle figure dominanti e più innovative nel mondo dei media. Ha fondato «Sky» nel 1989, in un sobborgo di Londra, inventando e diffondendo l’idea della tv a pagamento. È diventato un personaggio centrale negli Stati Uniti, comprando nel 1976 i quotidiani New York Post e il New York Magazine e poi, nel 1985 gli studi cinematografici della «20th Century Fox a Hollywood». Tv, film, giornali. E politica. Murdoch è un conservatore pragmatico: ha appoggiato negli anni Margareth Thatcher e John Major, con una breve parentesi di simpatia per il Tony Blair impegnato nella guerra in Irak.
E siamo all’oggi. Da almeno un anno il clan Murdoch si era reso conto di non poter competere con i big delle telecomunicazioni come AT&T, Verizon e la stessa Comcast, in gara per costruire conglomerate che mettono insieme i cavi e le antenne con il web, più la produzione e la distribuzione di film, serie tv, news e così via.
In un certo senso Murdoch è l’ultima vittima di un fenomeno che lui stesso ha contribuito a innescare nei decenni passati: il palinsesto costruito su misura, l’utente padrone del telecomando, sia a pure a pedaggio.
Per tenere il passo occorrono
d Comcast è il maggiore operatore via cavo Usa. Oggi quasi un terzo del suo fatturato viene dai video
capitali che la famiglia Murdoch ha dimostrato di non possedere o, altra ipotesi, di non essere più in grado di mobilitare. Ed era inevitabile che fosse un gruppo americano, Comcast, a svelare i limiti finanziari dell’imprenditore che era diventato «Murdoch, lo Squalo» proprio con i suoi affari negli gli Stati Uniti.
Comcast, quartier generale a Philadelphia, è il più grande operatore via cavo del Paese ed è uno dei modelli più chiari del nuovo corso. Nel 2011 ha acquisito la «Nbc Universal», un contenitore di network televisivi e cinema. Oggi circa 25 miliardi di dollari del fatturato, sul totale di 80, provengono dai video.
Murdoch ha preso atto che era venuto il momento di compattare il suo business, puntando su news e sport. Il 17 dicembre 2017 aveva venduto a Walt Disney la divisione cinema, le tv via cavo e tutta la parte del portafoglio internazionale di «21 st Century Fox». Nel pacchetto c’era anche la quota del 39% di Sky. Murdoch ha provato a trattenere nel recinto l’emittente britannica: fatturato di circa 14,7 miliardi di euro, 22,4 milioni di abbonati distribuiti tra Regno Unito, Germania, Austria, Irlanda e, appunto Italia, la seconda piazza con 4,8 milioni di sottoscrittori e ricavi per 2,7 miliardi di euro. Secondo alcuni osservatori sarebbe stata Walt Disney a spingere per presentare l’opa sull’intero capitale.
La sua offerta è stata respinta e il suo disegno industriale ne esce ridimensionato. E la sua influenza pubblica? Il tycoon mantiene il controllo di media importanti sia in Gran Bretagna (The Times, Sun, Sunday Times) che negli Stati Uniti (Fox news e The Wall Street Journal). A Londra ora tornerà più libero: il fallimento dell’offerta su Sky chiude ogni contenzioso con le autorità Antitrust, preoccupate dalla sommatoria di tv e giornali. Negli Stati Uniti, «Fox news» è l’incontrastato punto di riferimento della propaganda a favore di Donald Trump. In un passaggio del libro «Fuoco e furia», Michael Wollf racconta come, fino al 2015, Murdoch considerasse Trump «nel migliore dei casi un clown». Poi, però, le cose sono cambiate. A Washington c’è chi pensa che ora Rupert parli spesso con il presidente. Indiscrezione difficile da verificare. È certo, invece, che gli anchormen di «Fox news», a cominciare da Sean Hannity, un giornalista che si sposta con un aereo privato, siano tra i consiglieri informali più ascoltati da «The Donald». Finché ci sarà Trump alla Casa Bianca, la storia di Murdoch continua.