Campobasso, 20 scuole chiuse Il sindaco: prima la sicurezza
Il Comune ha speso 11 milioni. «Decisione impopolare ma necessaria»
È triste una città con le scuole chiuse. Non una o due, o cinque. Ma venti edifici, tra scuole per l’infanzia, primarie e medie. Chiuse perché a rischio, non in regola con la normativa antisismica o antincendio o con le altre regole a garanzia della staticità degli edifici e quindi della sicurezza di studenti e insegnanti.
Campobasso, capoluogo del Molise, ha 50 mila abitanti e quasi 10 mila studenti, 5 mila sono universitari e 4.598 frequentano asili, elementari e medie inferiori e superiori. Ma soprattutto, Campobasso vive nel ricordo e nel timore dei terremoti. Dal più devastante, nel 1805, fino all’ultimo, il 31 ottobre 2002, che terrorizzò la città e la sua provincia e che nel comune di San Giuliano di Puglia mise a nudo le pesanti irregolarità della scuola elementare del paese, che non sarebbe crollata — seppellendo 27 bambini e una maestra — se non fosse stata ampliata con una sopraelevazione scriteriata.
Sono passati 16 anni da quella tragedia e a Campobasso non ne hanno perso la memoria. Gli ultimi due sindaci, di centrodestra e l’attuale di centrosinistra, non hanno potuto far altro che limitare il rischio con ordinanze di chiusura provvisoria degli edifici dei quali si andavano «scoprendo» le falle. Fino a quando, in particolare negli ultimi due anni, non si è più potuto definire «provvisorio» ciò che era cronico, endemico.
A quel punto, il sindaco Antonio Battista, un ferroviere macchinista cresciuto alla vecchia ma efficace scuola politica del sindacato e dei vituperati partiti (nel suo caso, il Partito popolare), non ha affrontato la situazione in maniera radicale. Certo, i comitati di genitori e alcune associazioni, in particolare Cittadinanza Attiva, si son fatti Verifiche in alcuni edifici dell’istituto comprensivo Jovine sentire e hanno anche coinvolto la Procura — che ha incaricato i vigili del fuoco delle verifiche —, ma sono stati il sindaco, la giunta, il Consiglio comunale, cioè la politica, ad assumersi la responsabilità di decidere: non soltanto chiudendo le scuole a rischio, ma anche mettendo mano alla risoluzione complessiva del problema.
«Chiudere una scuola è una cosa molto spiacevole, impopolare, perché a causa dei disagi che crea non incontra l’approvazione di tanta parte della popolazione — dice il Battista —, ma non si può vivere nell’angoscia che un evento qualsiasi o anche una scossa di terremoto modesta provochi una tragedia». Le scuole, aggiunge il consigliere provinciale Beppe D’elia, «sono i luoghi che tutti consideriamo i più sicuri, gli affidiamo i nostri figli e non devono trasformarsi in “bombe a tempo” che prima o poi causano qualche vittima, come se fosse il prezzo da pagare alle criticità accumulate negli anni».
Così Campobasso, per necessità e per virtù, ha fatto la radiografia completa del patrimonio edilizio scolastico. Si è affidata ai controlli dei tecnici comunali e dei vigili del fuoco e ha incaricato l’università del Molise di «certificare» lo stato di salute di ciascun edificio.
Su 35 costruzioni, 20 sono state chiuse e per altre 7 si attende il responso di agibilità. I restanti edifici, tra i quali tre nuovissimi, non potevano però accogliere tutti gli studenti «sfollati». E allora, dopo una breve fase di doppi turni, il sindaco ha chiesto la collaborazione dell’università, nelle cui aule sono stati sistemati 400 studenti. Altre centinaia sono invece stati distribuiti tra la Casa dello studente (uno stabile dell’ex Istituto case popolari ristrutturato), in un edificio privato affittato per 215 mila euro l’anno e persino in una palazzina della zona industriale e artigianale.
«Le vie del centro senza la vitalità delle scuole sembrano un mortorio, è vero — dice il sindaco — e penalizzano le attività commerciali», ma il sacrificio verrà ripagato nel giro di qualche anno, con le nuove scuole che saranno costruite al posto delle vecchie, da abbattere, e dalla certezza di essere al sicuro. I soldi? La giunta ha deciso di dirottare a favore alle scuole 11 milioni di euro destinati alla mobilità e 6 milioni ricavati dalla vendita di alcuni immobili comunali, ai quali vanno aggiunti i 3,3 milioni del bando «scuole innovative» finanziati dall’inail. In tutto, 20 milioni. Ma ne occorrerebbero altri 10. «I governi da tempo dovevano destinare risorse ai Comuni per le scuole — dicono Battista e D’elia —. Ecco, lo facciano adesso, subito. Dopo la sciagurata cancellazione dei fondi per la riqualificazione delle periferie sarebbe il minimo.