«Meridiana», un meridionalismo diverso
Da domani a sabato a Napoli convegno per i 30 anni della rivista diretta da Gabriella Corona e Rocco Sciarrone
Agenda
● È stato Piero Bevilacqua il primo direttore di «Meridiana», che in 30 anni ha pubblicato 90 numeri con 967 firme
● Il convegno Sud che vorremmo. Riflessioni tra passato e futuro per i trent’anni di «Meridiana» svolge da domani a sabato 29 settembre presso la Biblioteca Nazionale di Napoli in piazza del Plebiscito (Palazzo Reale, sala Rari) si
Il
Sperimentale per alcuni, spericolata per altri. Novanta numeri, 78 fascicoli di cui 12 doppi, 763 articoli, 967 firme in massima parte di storici, sociologi, economisti, politologi. «Meridiana«, rivista ormai storica del meridionalismo critico, compie trent’anni. Al tempo di Reagan, Thatcher e Gorbaciov, in un’italia già all’inseguimento di un mondo che cambiava, Piero Bevilacqua, primo direttore, piegò il numero d’esordio su un tema insolito: il Mezzogiorno nel mercato internazionale.
Quella rivista avrebbe guardato lontano. E da subito cominciò a fare status. O si stava con «Meridiana». O contro. Impossibile ignorarla. Chi la scriveva o la citava apparteneva a una squadra «scomoda» di meridionalisti che mal sopportava il modo in cui il Mezzogiorno veniva analizzato e rappresentato. Troppi luoghi comuni, troppo emergenzialismo, e soprattutto troppo poche sfumature nel racconto. Meglio cambiare, annunciarono i soci fondatori. Anche nel metodo di studio. Spazio, allora, all’interdisciplinarità. Basta, diceva Carmine Donzelli, col Mezzogiorno come categoria culturale, come «la più grande metafora della storia d’italia», cioè luogosimbolo dell’arretratezza e del familismo amorale. E apertura a nuove prospettive: più ampie, transazionali e globali, appunto; e allo stesso tempo più differenziate.
Fu così che si cominciò a parlare dei Sud, al plurale, e non più di Mezzogiorno d’italia come area omogenea. Quasi un salto quantico, e i meridionalisti classici accusarono il colpo. Una cosa è «abolire il Mezzogiorno», rispose Giuseppe Galasso, in polemica con Gianfranco Viesti; altra, come egli invece sosteneva, è «smeridionalizzare» le politiche nazionali per il Sud, cioè ribadire che quella meridionale doveva rimanere, tutta intera, una questione italiana. Fu la stessa rivista, però, a prendere le distanze da Franco Cassano, quando il suo «pensiero meridiano», radicalizzando il discorso sull’identità meridionale, finì per rafforzare l’ondata sudista, uguale e contraria a quella della Lega. Ciò avvenne benché «Meridiana» avesse sempre messo in discussione il 1861 come data periodizzante: prima tutto male, poi tutto bene. Tra alti e bassi, tra svolte annunciate e condivise poi progressivamente smentite dai fatti (come negli anni Novanta, quando si esaltò la primavera dei sindaci), «Meridiana», oggi diretta da Gabriella Corona e Rocco Sciarrone, è comunque arrivata a un traguardo importante. Ma attenzione! Se tre decenni di presenza influente nel dibattito pubblico sono un risultato invidiabile per qualsiasi iniziativa editoriale, cosa ci dice la stessa lunga testimonianza di una rivista come questa?
Sebbene «Meridiana» abbia nel frattempo allargato i suoi interessi anche a temi più generali come le disuguaglianze e le problematiche ambientali, non è, questa testimonianza, l’ennesima conferma della irrisolta questione meridionale? Il convegno che per l’occasione dei trent’anni si terrà a Napoli da domani a sabato 29 (vi parteciperanno, tra gli altri, collaboratori storici come Salvatore Lupo, Paolo Macry e Gabriella Gribaudi questo tema. E non a caso ha per titolo Il Sud che vorremmo, cioè l’implicita espressione di una vicenda aperta, complessa, ma di sicuro ancora priva di un lieto fine.
Le origini
Nella testata si riconosceva chi mal sopportava il modo in cui il Mezzogiorno veniva analizzato e rappresentato