Il compleanno amaro di Tria: più crescita per limitare i danni
Ministro al lavoro. Ma continuano le voci sulle possibili dimissioni
È una manovra che mette al primo posto la crescita: con questo argomento il ministro dell’economia, Giovanni Tria, ha cercato di spiegare ai suoi collaboratori, alcuni ancora sconcertati, il suo sì alla Nota di aggiornamento del Def (Documento di economia e finanza). Nel 2019 Tria punta a dimezzare il divario di crescita rispetto alla media europea, facendo leva su un forte aumento degli investimenti pubblici. Così il prodotto interno lordo nel 2019 non crescerebbe più dell’1% come da ultime stime, ma di almeno l’1,5%. Il che potrebbe consentire di far scendere, sia pure dello 0,1%, il debito in rapporto allo stesso Pil. I calcoli sono ancora in corso, ma l’obiettivo è questo. Per mettere in moto questa crescita, che poi salirebbe ancora nel 2020 e nel 2021, sovvertendo un trend altrimenti decrescente, il ministro dell’economia ha accettato l’azzardo di un deficit di bilancio pari al 2,4% per i prossimi tre anni, imposto nel consiglio dei ministri di giovedì sera dall’asse fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini.
Un livello, il 2,4%, che fino all’altro ieri non era stato preso in considerazione nel palazzone di via XX Settembre, dove erano sicuri non si sarebbe superato il 2%, e sul quale invece ieri sono stati tutto il giorno al lavoro lo stesso ministro, il ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco e i vertici del Tesoro. Riunioni al mattino e al pomeriggio alle quali ha partecipato lo stesso ministro, nonostante fosse il giorno del suo settantesimo compleanno.
E chissà se il break per il brindisi di auguri e il regalo ricevuto dai suoi collaboratori lo avranno aiutato a riprendersi da quella che a tutti è apparsa una sua sonora sconfitta: il tecnico, l’economista, piegato dalle ragioni della politica, senza neppure l’ombra della ricerca di un compromesso. Tutti si sono chiesti come abbia fatto Tria a non dimettersi, dopo aver sostenuto per settimane che non conveniva sfidare i mercati. Tanto che molti pensano che il ministro sia rimasto al suo posto solo per non aggravare la corsa dello spread. In attesa che sia lui stesso a spiegare com’è andata, di certo Tria è apparso provato dal match con Di Maio e Salvini. L’interruzione, giovedì notte, del consiglio dei ministri, voluta da Di Maio per andare sul balcone di palazzo Chigi con gli altri ministri grillini a festeggiare la “vittoria” sullo stesso Tria, resterà impressa nella memoria del ministro.
Che farà del suo meglio, dicono i suoi collaboratori, per presentare presto la Nota di aggiornamento al Parlamento e poi a Bruxelles. Nel frattempo continuerà a osservare la reazione dei mercati. Che ieri hanno mandato certamente segnali negativi, con lo spread oltre 281 punti base e la Borsa a - 3,72%, ma non catastrofici. Mentre Tria e i suoi tecnici adempiranno fino in fondo le decisioni del governo, i mercati faranno il loro corso, con due appuntamenti chiave, il 26 e il 31 ottobre, quando prima Standard and Poor’s e poi Moody’s decideranno se abbassare il rating sul debito pubblico dell’italia. Un eventuale downgrading getterebbe altra benzina sui mercati. A quel punto per Tria sarebbe fin troppo facile dire «ve l’avevo detto» e farsi da parte.
Fra i tecnici del Tesoro c’è chi è più pessimista e ritiene inevitabili le dimissioni di Tria nelle prossime settimane, anzi pensa che il ministro avrebbe dovuto già darle quando Di Maio e Salvini gli hanno imposto il 2,4%. Altri invece sono attendisti, pensano, come Tria, che valga la pena di provare, con una manovra credibile sul lato della crescita, a limitare i danni. Se poi i mercati non vi crederanno, bisognerà prenderne atto. E ognuno farà le scelte che riterrà più opportune. Se Pier Carlo Padoan si lamentava di essere costretto a percorrere un «sentiero stretto», quello nel quale si è ficcato Tria è strettissimo. Al limite del soffocante.