Barricata in ufficio la sindaca non cede «Ma spegneremo questo incendio»
Il vigile urbano a bloccare gli ingressi, gli assessori che entrano ed escono muti e frettolosi. E lei, chiusa nel suo ufficio di sindaca. Anzi, asserragliata. Perché ieri palazzo Broletto, sede del governo cittadino di Lodi, si è trasformato in un fortino, bombardato dalle mille dichiarazioni sulla vicenda «mense». Alle quali la sindaca Sara Casanova ha replicato vergando qualche riga scritta: «Certamente il Regolamento rimane in vigore, la legge deve sempre valere per tutti. Dispiace che non tutti condividano il principio di equità che sta alla base di questa delibera, che vuole mettere italiani e stranieri nella stessa condizione di partenza per dimostrare redditi e beni posseduti...».
Detta così, può sembrare la cocciuta posizione di chi va avanti a testa bassa sulla scelta di pretendere dai genitori stranieri dei bambini che vivono a Lodi i documenti ufficiali dei patrimoni detenuti all’estero, requisito indispensabile per accedere alle tariffe agevolate per mensa e scuolabus. Addirittura oltre la posizione di Matteo Salvini, che sulla vicenda si è espresso con una sorprendente apertura: «Se non sarà possibile agli stranieri fornire la documentazione del loro Paese, il Comune si fiderà di loro».
In realtà questa sindaca quarantunenne, di professione architetto, compagna del segretario provinciale della Lega Claudio Bariselli, dal quale aspetta un bambino, la voce di Salvini intende ascoltarla, eccome, anche se lei non è una salviniana del- la prima ora. Ma forse è proprio per questa ragione, visto che all’inizio del suo impegno politico, iniziato sette anni fa come segretario cittadino della Lega Nord, era su posizioni meno radicali. «Aggiusterà il tiro e spegnerà l’incendio», assicura chi le sta vicino. D’altra parte una via di fuga se l’è data lei stessa: «Stendere delle li- nee-guida per l’applicazione del Regolamento per l’accesso alle prestazioni agevolate». In quelle linee guida, che lei si riserva di comunicare a breve, ci sarà con ogni probabilità qualche concessione. «Allargherà il numero dei Paesi d’origine per i quali è prevista una deroga», scommette un suo uomo di giunta che chiede l’anonimato. Attualmente gli Stati esentati dalle certificazioni sono quattro: Yemen, Sudan, Afghanistan e Libia. Ma i cittadini che arrivano da quelle zone martoriate, a Lodi sono davvero pochi.
Il tema è sensibilissimo. Perché si parla di bambini, di pasti, di discriminazioni. E allora, visto anche il clamore nazionale, tutte le liste di minoranza del Consiglio comunale, ad eccezione dei Cinquestelle, hanno chiesto la sua testa. «Non ho alcuna intenzione di dimettermi», ha replicato lei ribadendo che «si sta solo applicando a tutti la legge dell’equità». Equità che agli avversari politici suona strana, considerata la richiesta di documenti «difficilissimi da reperire per le famiglie straniere».
I numeri sono tranchant: su 318 domande di agevolazioni presentate solo 5 sono state accolte. Latifa Gabsi è una mediatrice culturale italosiriana e se ne intende di queste cose: «I passaggi amministrativi per ottenere le carte sono almeno 5 o 6, fra comuni, prefetture, traduttori giurati». La titolare cinese del Bar Municipio, proprio sotto palazzo Broletto, ci ha rinunciato: «Perderei troppo tempo a cercarli e il tempo costa. Io pago il prezzo intero».
È sera. Dai tavolini del bar si vede la luce accesa dell’ufficio della sindaca. Ieri è stata la sua giornata più lunga. Ha rinunciato addirittura alla partita della nazionale di volley femminile contro il Giappone, lei che è pallavolista e, assicurano gli amici, ama più quella della politica.
Le proteste Per le opposizioni i documenti richiesti agli stranieri «sono molto difficili da reperire»