«Avvocati, serve più trasparenza negli esami»
In questi giorni, in diverse sedi di Corte d’appello sono in corso le prove orali per accedere alla professione di avvocato. Esami indispensabili per ottenere il titolo, ma con procedure soggettive e non oggettive. Lo dimostrerebbe il fatto che un importante avvocato veneto ha dovuto ripetere per tre volte l’esame, mentre altri, superate le prove al primo colpo, sono stati declassati nella vita professionale. Se va male, si deve attendere un anno per ripetere la prova. E sperare che chi legge gli scritti e chi interroga, se si accede all’orale, non abbia la «giornata storta»: infatti sia il giudizio sulle tre prove scritte, privo di qualsivoglia correzione, così come le domande per l’orale, sono, senza ipocrisia, legate all’umore del presidente di commissione o di qualche membro. Perché non essere trasparenti nel terzo millennio? Perché le prove scritte non possono eseguirsi con domande e risposte limpide e oggettive, tramite le famose crocette già adottate per altri autorevoli accessi alla professione? E gli orali ripresi da telecamere? E non trovare, come oggi, un primo ostacolo negli scritti, dovendo adottare la bella scrittura, come ai tempi del libro «Cuore». Solo così i candidati e relative famiglie potrebbero accettare il giudizio con obiettività e anche serenità. Come in tutte le categorie e professioni, a stabilire chi ha il «quid», ci penseranno poi i cittadini.