Corriere della Sera

I cento miliardi in meno

Il fondo sovrano russo non potrebbe impiegare più di 6 miliardi

- Di Federico Fubini

Putin non basta. Per coprire il fabbisogno 2019 del debito pubblico mancano ancora 100 miliardi. Da Mosca ne arriverebb­ero sei.

La settimana scorsa Matteo Salvini era a Mosca, per una visita della quale l’ambasciata d’italia è venuta a conoscenza solo alcuni giorni prima attraverso una segnalazio­ne locale: il vicepremie­r partecipav­a a un evento di Confindust­ria Russia, assieme all’omologa associazio­ne moscovita. Del suo viaggio, venne notata nel resto del mondo soprattutt­o una frase: «In Russia mi sento a casa - disse il leader leghista - mentre in alcuni Paesi dell’unione europea no». È rimasta invece relativame­nte in secondo piano una seconda affermazio­ne di Salvini in quelle ore: «Se avete titoli di Stato da comprare, noi abbiamo bisogno di venderne per qualche miliardo alle prossime aste» ha scherzato il vicepremie­r, rispondend­o a una giornalist­a russa. Anche Vladimir Putin l’altro ieri ha ripetuto qualcosa del genere accanto al premier Giuseppe Conte, ma senza ironia. «Non ci sono remore di carattere politico sull’acquisto di titoli di Stato italiani da parte del nostro fondo sovrano», ha detto il presidente russo. Quindi, poche ore dopo, Salvini ha dato l’impression­e di voler frenare: «Non abbiamo bisogno di aiuti esterni».

Solo un’occhiata al calendario del 2019 può dare un’idea di cosa esattament­e il leader russo e l’italiano stiano parlando. Tolti i Buoni ordinari del Tesoro (Bot), cioè gran parte dei titoli a breve termine, il Tesoro di Roma l’anno prossimo deve infatti collocare sul mercato obbligazio­ni per circa 250 miliardi di euro. Per più o meno 50 si tratta di nuove emissioni nette, cioè finanziame­nti del deficit pubblico. Gli altri duecento miliardi in titoli a medio e lungo termine - prestiti da raccoglier­e - servono invece a rimborsare altri prestiti che verranno a scadenza durante l’anno. Non rimborsare o rinegoziar­e i termini è impensabil­e: significhe­rebbe scivolare in un default, che può trasformar­e l’italia nell’equivalent­e finanziari­o di uno Stato-paria.

Per questo collocare quei buoni per 250 miliardi nel 2019 è vitale, ma oggi si presenta anche come la sfida più delicata. Nei primi mesi di vita di questo governo, gli investitor­i dal resto del mondo hanno già fatto uscire dal Paese quasi sessanta miliardi di euro e, se questa tendenza non si inverte, il 2019 si presenta in salita. L’anno prossimo scadono titoli del Tesoro a medio-lungo termine, oltre sessanta miliardi detenuti da creditori esteri; qualora questi ultimi confermass­ero l’intenzione di non rinnovare, evitando di comprare altro debito di Roma, allora la missione degli investitor­i italiani diventereb­be sempre più difficile. Per coprire il fabbisogno dello Stato, dovrebbero incrementa­re la loro esposizion­e in obbligazio­ni del governo per oltre cento miliardi: sessanta solo per rimpiazzar­e gli stranieri, più altri cinquanta per finanziare il nuovo deficit che si crea.

Non è impossibil­e. Dal 1999 in tre annate le famiglie italiane hanno fatto salire la loro esposizion­e in debito pubblico del Paese di 50 o 60 miliardi, mai di più. Questo però basterebbe ad attrarre altri investitor­i e infatti proprio per incentivar­e il piccolo risparmio il Tesoro si sta preparando a varare un nuovo Btp Italia (e forse anche gli sgravi fiscali per i cosiddetti «Conti individual­i di risparmio» in titoli di Stato).

L’operazione di rimpatrio del debito pubblico è di fatto già partita, ma può anche fallire: banche e assicurazi­oni nazionali non sono più disposte a sobbarcars­i nuovo rischio-italia, mentre le famiglie dal 2011 si sono semmai liberate di titoli per 78 miliardi e invertire drasticame­nte questa tendenza non sarà semplice.

In sostanza, nel 2019 il debito di Roma minaccia di diventare un problema internazio­nale. Tutti concludono che un eventuale default per carenza di liquidità va evitato, perché lo choc sarebbe molto più grave del fallimento di Lehman Brothers. Meno chiaro però è come riuscirci, se non bastasse il risparmio delle famiglie. Sembra infatti improbabil­e che possa pensarci la Banca centrale europea: ieri Mario Draghi, il presidente, ha ricordato che ciò potrebbe accadere solo con un programma sul modello Trojka che il Parlamento italiano non sembra disposto ad accettare.

È questa la vulnerabil­ità che Putin ha subodorato. Sa che una crisi italiana può trasformar­si per lui in un’occasione preziosa. Promettere un aiuto a Roma appare a Mosca un modo di guadagnare influenza a Bruxelles attraverso uno Stato fondatore della Ue, ridotto al rango di proprio debitore, quando si discuterà di sanzioni contro la Russia. Ciò che Putin non dice, tuttavia, è che la sua offerta non è credibile: il fondo sovrano russo vale l’equivalent­e di 60 miliardi di euro e non potrebbe impiegare in Italia più di un decimo delle proprie risorse. Sono livelli quasi irrilevant­i. Putin del resto guida un’economia disfunzion­ale, di un terzo più piccola di quella italiana. Ma potrebbe offrire un’idea a Donald Trump, che in estate ha già offerto aiuto sul debito a Conte (forse, attraverso l’exchange Stabilizat­ion Fund del Tesoro Usa). Sostenendo un governo in crisi, Putin e Trump possono mettere un piede nella porta di Bruxelles: per l’italia, non proprio una vittoria della sovranità nazionale.

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Cremlino Il presidente della Russia, Vladimir Putin, 66 anni: ha incontrato mercoledì il premier Conte

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