Linguaggio scorretto e zero in economia L’ascesa del «Capitano» a colpi di fake news
Dalle origini a oggi, gli stessi slogan rozzi ma efficaci
U na lunga marcia verso il potere, dove tutto ha funzionato. Rozza, ma molto efficiente. Troppo estrema per essere possibile, si diceva erroneamente ancora pochi mesi fa, considerando la biografia personale di Jair Messias Bolsonaro. E, soprattutto, il suo linguaggio. Le frasi «scorrette» pronunciate nel corso degli anni e la dura lista degli epiteti (razzista, machista, omofobo, fascista, eccetera) rimbalzano da settimane sui media di tutto il mondo, ma non hanno scosso la convinzione della maggioranza dei brasiliani, i quali si sono lasciati convincere dal «Capitano» pronto a distruggere e cambiare tutto. La corruzione, una crisi che ha distrutto le speranze di ascesa sociale di milioni di persone, la violenza crescente: ragioni per azzardare il salto nel buio non ne sono mancate.
Il linguaggio, si diceva. Bolsonaro non ha avuto troppo bisogno di attutire le sue posizioni nella marcia finale (tranne qualche precisazione), semplicemente perché è sparito di circolazione, non si è confrontato con i suoi avversari, compreso nel duello con Fernando Haddad. È voluto restare il mito immateriale dei suoi fan sulla Rete. La coltellata ricevuta durante un rally elettorale a inizio ottobre e la convalescenza hanno avuto un doppio effetto positivo, creare solidarietà umana e sottrarlo al confronto delle idee.
Da quel giorno fino a sabato notte, Bolsonaro ha comunicato solo con monologhi su Facebook, mentre i suoi esperti social mettevano in campo la più devastante campagna politica della nuova era, decine di milioni di messaggi su Whatsapp, una parte sicuramente fake news finanziate da imprenditori amici. Le prove di reati elettorali paiono abbondanti, ma non potevano ovviamente fermare il processo. Se ne parlerà nei prossimi mesi, a inchiesta conclusa.
Bolsonaro non ha voluto spin doctor né accettato consiglieri di altri schieramenti, i quali tutti gli avrebbero consigliato moderazione. Ha invece continuato fino all’ultimo a promettere esilio o galera alla «marmaglia rossa», guerra a tutti quelli che si occupano di minoranze, per non dire alle minoranze stesse. È rimasto soprattutto l’uomo della rinascita dei valori messi in pericolo da presunte minacce (come il proselitismo dell’omosessualità tra i bambini delle elementari per colpa dei comunisti, la più grossolana delle sue fake news).
Ma gli va riconosciuto il merito di aver capito, da solo, che la corruzione diffusa è un tema fortissimo, così come la tragedia dei 62.000 morti ammazzati all’anno, record imbattibile in un Paese non in guerra. I rappresentanti dei partiti tradizionali, il Pt di Lula in primis, non sono riusciti a seguirlo, essendo piuttosto i responsabili di quei disastri.
Anche la sua modesta biografia non è stata un ostacolo all’ascesa. Non sa rispondere alla più elementare domanda sull’economia («Non ne capisco niente», ammette, ma ha l’uomo giusto per tutto) e il suo tabellino di 30 anni in Congresso non segnala niente di brillante, tranne qualche proposta sull’uso libero delle armi. È contraddittorio nella vita personale, difende la famiglia tradizionale brasiliana ma è alla terza moglie (ogni volta assai più giovane della precedente). Gli manca soprattutto la capacità di dialogo, in un sistema politico molto complesso, fatto di trenta partiti e un continuo gioco di scambi. Dove alzare la voce e sbattere il pugno sul tavolo di solito non serve a niente. C’è solo da augurarsi ora che Bolsonaro di questa arte del possibile che è la politica apprenda qualcosa e non cerchi scorciatoie pericolose.
L’uso di Whatsapp
In campagna elettorale ai dibattiti ha preferito messaggi diretti e monologhi sui social