LA CUCINA È PER TUTTI
L’ultimo giorno della kermesse del «Corriere» a Napoli Dai ristoranti gourmet ai maestri della pizza, fino alla pasticceria: le ricette «povere» diventano da intenditori (e parlano al cuore)
La cucina, quella democratica (il filo conduttore di tutte le edizioni 2018 di Cibo a Regola d’arte), è un mezzo di inclusione, per arrivare a tutti. Ed è anche, per molti, l’unico modo possibile per emergere. È così senz’altro — e non si poteva che raccontarlo qui, in Campania — per gli ex ragazzi terribili della pizza napoletana. Così si definiscono loro stessi, Gino Sorbillo, Ciro Salvo, Ciro Oliva ed Enzo Coccia. In questo momento tra i pizzaioli migliori della città. Che ieri, riuniti assieme a Chiara Marciani (assessore alle Pari opportunità e formazione della Regione) sul palco dell’ultima giornata dell’evento food del Corriere, hanno raccontato il loro impegno per trasformare la margherita tradizionale. Nata cibo povero e ora sempre di più piatto da intenditori, tanto da aver ottenuto il riconoscimento Unesco. Grazie a impasti lunghi e digeribili, farine antiche, materie prime di produttori locali di qualità.
«Oggi i ristoratori non si vergognano più a mettere in carta la pizza — dicono — che, anzi, è diventata motivo di richiamo». E sono sempre loro che, attraverso i loro locali, sono riusciti a salvare se stessi pur restando, orgogliosamente, nei quartieri più difficili di Napoli da cui provengono. Come Sorbillo che sta ridando lustro a via dei Tribunali o il giovanissimo Oliva, 25 anni, che nella sua «Concettina ai tre santi», nel cuore del rione Sanità, ha istituito la pizza sospesa (pagata dai clienti e messa a disposizione di chi non se la può permettere) e ha deciso di aiutare la Casa dei Cristallini: uno spazio dove i bimbi del quartiere, altrimenti destinati alla strada, fanno educazione alimentare e creano i piatti in ceramica utilizzati poi nella pizzeria di Oliva. E allo stesso modo è salvifica la cucina di Pedro Miguel Schiaffino, chef peruviano che ha vissuto, tra i fornelli, due vite: la prima dedicata alla «cucina per le classifiche», internazionale, forse più anonima; la seconda esplosa quando decise nel suo ristorante «Amaz» di Lima di utilizzare solo ingredienti dei popoli amazzonici: «In Italia ho imparato che un buon piatto si può fare solo partendo da buoni prodotti — ha raccontato sul palco assieme all’amico chef Giancarlo Morelli —. In Amazzonia ho scoperto una materia prima pazzesca. E così tutto è venuto in modo molto naturale». Schiaffino, per esempio, ha trovato il modo di cucinare la yucca velenosa che, una volta fermentata, diventa edibile.
Ed è così, insomma, che il cibo entra nel cuore e nella memoria di tutti. Come la pasta al forno di Pino Cuttaia, lo chef siciliano che è riuscito a conquistare le due stelle Michelin guidando «La Madia», ristorante che più periferico non si può, a Licata (Agrigento). Una rivisitazione di un classico della cucina di casa, preparato con pochissimi ingredienti, pasta, melanzane fritte (in tantissimo olio, consiglia lo chef, solo così sono più sane), ricotta salata e pomodoro. «Un piatto, che ho chiamato “La Norma è una regola”, messo ora in carta — ha raccontato Cuttaia — pro-
prio perché simbolo dell’antica sapienza casalinga che sa di convivialità, di famiglia, e che ora dovremmo riscoprire». E come i dolci di Andrea Tortora, classe 1986, il pasticcere italiano di nuova generazione oggi più quotato, di stanza al «St. Hubertus» di San Cassiano (Bolzano), dove lavora fianco a fianco dello chef Niederkofler. Tortora ha preparato uno dei suoi nuovi dessert, il canederlo dolce. «Omaggio al piatto più tradizionale della terra che mi ospita, l’alto Adige, che è una ricetta di riciclo». Ma preparato con ingredienti che guardano a sud, la nocciola di Giffoni Pgp e la ricotta freschissima di pecora campana. Un inno alla cucina più inclusiva, insomma, quella che unisce mondi distanti e che mai separa.