Consip, la difesa di Tiziano Renzi «Il mio nome un bersaglio facile»
Nelle carte dei pm gli scambi di accuse su fughe di notizie e depistaggi
Prima ancora di svelare presunte corruzioni e appalti truccati, l’inchiesta sulla Consip ha alzato il velo su un groviglio di fughe di notizie, scambi d’accuse tra amici e colleghi, dichiarazioni poco credibili o aggiustate nel tempo tale da generare negli inquirenti il sospetto di bugie e depistaggi organizzati ad arte.
Al termine di quasi due anni di indagine la Procura di Roma si appresta a chiedere il rinvio a giudizio di tutti gli indagati, tranne che per Tiziano Renzi, ritenuto comunque non credibile dai pubblici ministeri di fronte ai quali s’è seduto in un’unica occasione. Per provare a smentire le dichiarazioni dell’ex amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni (ritenuto, al contrario, attendibile dai pm), secondo il quale il padre dell’ex premier gli aveva raccomandato il faccendiere Carlo Russo, che a sua volta aveva sollecitato lavori per alcune ditte care a Denis Verdini e allo stesso Tiziano Renzi.
«Ma io non ho mai parlato con Marroni dell’attività di Consip, né ho fatto pressioni su di lui al riguardo, né gli ho mai raccomandato Russo», ha spiegato Renzi sr nell’interrogatorio del 3 marzo 2017, ora non più coperto dal segreto investigativo. Non sa individuare ragioni di rancore o di astio che spingano altri a fare dichiarazioni asseritamente false sul suo conto, ma dice: «Posso pensare di essere un facile bersaglio per essere coinvolto in tante vicende, le più strane, per allontanare da sé problemi... Credo che cerchino di usare il mio cognome, sono un bersaglio facile. Osservo comunque che non avrei motivi per discutere di questioni di business diverse dal mio lavoro, non ho mai fatto coincidere la felicità con il possesso».
Aggiunge di non conoscere Denis Verdini né l’imprenditore Alfredo Romeo (ma i magistrati ritengono plausibile che si siano incontrati una volta, nel 2016). E nega di essere stato informato di indagini a suo carico se non da un giornalista de Il Fatto. Fece telefonare a Russo per dirgli di non chiamarlo più «perché temevo di essere intercettato», ma non spiega la perfetta coincidenza tra l’inizio delle operazioni di ascolto e quell’avviso intimato tramite un ex assessore di Rignano, Roberto Bargilli. Il quale ha raccontato ai pm di aver fatto quella «cortesia» a Tiziano Renzi senza chiedergli il motivo. «L’ufficio rappresenta la scarsa plausibilità del contenuto della risposta», scrivono i pm nel verbale, e Bargilli risponde: «Mi rendo conto col senno di poi, ma le cose sono andate così».
Quando è stato riconvocato dai pm, Renzi padre s’è rifiutato di rispondere, come suo diritto, mentre gli altri indagati accusati da Marroni di averlo avvisato dell’indagine napoletana su Consip — dall’ex ministro Luca Lotti al generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia, passando per l’ex comandante generale dell’arma Tullio Del Sette che l’avrebbe detto al presidente di Consip Ferrara — hanno negato ogni tipo di «soffiata». Al massimo generiche allusioni, ma non a inchieste particolari. Lotti e Saltalamacchia sono stati anche messi a confronto con Marroni, apparso irremovibile. «È possibile che tu ti sia confuso?», gli chiede Saltalamacchia: «Io ricordo bene quello che ho detto e lo confermo», risponde Marroni. E a Lotti, che domanda se qualcuno gli ha suggerito di fare il suo nome, ribatte sicuro: «No». Per i pm, il fatto che Marroni, subito dopo aver ricevuto le informazioni di cui ha riferito, abbia fatto istanza per sapere se fosse inquisito dalle Procure di Firenze (dove abitava), Roma (dove lavorava), e Napoli (dov’era nata l’inchiesta sugli appalti Consip), è la conferma che dice la verità: altrimenti non si spiegherebbe la richiesta nella città partenopea.
L’indagine era condotta all’epoca dal pm napoletano Henry John Woodcock i e dai carabinieri del Noe. In particolare dall’ex capitano (oggi maggiore) Gianpaolo Scafarto, accusato di aver rivelato notizie a Il Fatto («il colonnello Sessa mi disse che Scafarto gli aveva confessato di essere stato lui ad aver passato le informazioni oggetto di articoli», ha dichiarato il tenente colonnello Fabio de Rosa»), e di aver nascosto le smentite a un’ipotetica controinchiesta dei servizi segreti nei confronti del Noe: «Scelta investigativa condivisa anche con Woodcock», aveva detto il carabiniere in un’intercettazione. Ma Woodcock, interrogato, replica: «È un’affermazione totalmente falsa».