«Più ricerca e visione sociale per un domani sostenibile»
«L ’innovazione? Non è solo tecnologica. Ma innovazione di prodotto, e innovazione sociale», spiega al Corriere Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative fresco di riconferma alla presidenza di Conserve Italia, il consorzio cooperativo di San Lazzaro di Savena (Bo), leader nella trasformazione alimentare che associa 14 mila produttori agricoli italiani e trasforma 605 mila tonnellate di frutta, pomodoro e vegetali coltivati nel Belpaese che vengono lavorati in 12 stabilimenti. Una filiera tre volte italiana.
«L’innovazione di prodotto dev’essere il motore di un’azienda leader che deve saper leggere i bisogni del mercato, dei consumatori, per tradurli in novità sullo scaffale», continua Gardini oggi tra i protagonisti all’innovation Summit 2018 di Deloitte per confrontarsi sul ruolo di aziende e istituzioni nell’ecosistema innovazione. «È quanto abbiamo fatto con l’area dei prodotti benessere avviata con i Veggie e ampliata con i 100% Frullati, o con i Cotti e Pronti al vapore Valfrutta. In termini strategici poi, l’innovazione “apre” i canali distributivi e consente a un’azienda di meglio posizionare tutta la gamma dei suoi prodotti».
C’è poi l’innovazione del packaging, un esempio sono i triangolini Valfrutta. «Un nuovo formato per i succhi di frutta che, rispetto al classico packaging quadrato, soddisfa
d
meglio le quantità ideali per i bimbi da 3 a 10 anni che riescono anche ad afferrare la confezione con più facilità».
È proprio il mondo dei succhi di frutta quello più aperto all’innovazione di prodotto. Così dopo le prime bottigliette blu di succo firmate Derby seguite poi da quelle verdi di Yoga (risale al 1994 l’acquisizione di Massalombarda Colombani), Conserve Italia da anni continua a innovare. Ma l’innovazione che parla all’anima più profonda di un gruppo che vuol dire anche Cirio (dal 2006 il gruppo si è assicurato l’intero pacchetto azionario di Cirio De Rica), Jolly Colombani e Juver, è l’innovazione che parla al cuore cooperativo di un’avventura saldamente radicata nel tessuto italiano. Conserve Italia che nel 2017-18 ha generato un fatturato aggregato di 900 milioni di euro (il 40% dall’export), nasce infatti nel 1976 sviluppando un processo avviato già nel 1966, da un gruppo di cooperative emiliano-romagnole (Paf, Copra, Solar) riunite nel Consorzio Calpo.
L’innovazione sociale, e nel segno della sostenibilità, ha un duplice riferimento: da un lato i nostri soci ai quali per esempio assicuriamo un prezzo garantito per le coltivazioni che diventeranno succhi. Poi c’è la sostenibilità verso l’esterno, verso la comunità e i territori dove operiamo: abbiamo appena presentato il rapporto triennale di sostenibilità, il racconto di un impegno che passa per il fotovoltaico e per le biomasse ricavate dagli scarti di lavorazione».
Ma il circolo virtuoso dell’innovazione per Gardini non è compiuto e non porta in alcun dove senza una riflessione sugli incentivi alle imprese per sostenere l’innovazione. «Ma a beneficiarne sono state le aziende più veloci nell’assicurarseli, salvo magari poi decidere di delocalizzare. Così sono convinto che serva invece un grande sforzo per “liberare le zampe della rana” come abbiamo detto in Pil, la competitività tradita. La rana salta con le zampe legate, il focus realizzato dal Censis per Confcooperative». Ovvero? «Per rendere l’energia accessibile alle imprese a costi competivi, per ridurre il cuneo fiscale, per favorire l’accesso al credito da parte delle imprese e poi...».
Poi? «Serve una seria politica infrastrutturale: quando un camion spagnolo riesce a portare a termine le consegne nei tempi stabiliti e invece in Italia questo non è possibile, c’è un problema da risolvere con investimenti nelle infrastrutture».
A proposito di sostenibilità sociale, di lavoro, c’è un grande dibattito sul ruolo che avrà l’intelligenza artificiale nelle nuove dinamiche del lavoro. «E per una realtà cooperativa come Conserve Italia è un tema forte. Ma c’è anche una risposta». Quale? «A ogni investimento in innovazione tecnologica da parte di un’impresa dovrebbe corrispondere il 10% di investimento in aggiornamento del personale. È l’unica via d’uscita. Altrimenti la digitalizzazione rischia di espellere dal lavoro professionisti di 50 anni per far spazio a nuovi nativi digitali privi di quell’esperienza della quale non possiamo fare a meno».
Per ogni investimento in tecnologia, ci sia il 10% di investimento sul personale
Maurizio Gardini
Dobbiamo liberare le zampe della rana, ovvero aiutare la competitività delle imprese