Corriere della Sera

I NUMERI NON DICONO LE BUGIE

- Di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

Il motivo per cui il governo giallo-verde e la Commission­e europea (con l’appoggio di 18 sui 19 Paesi dell’eurozona) hanno idee tanto diverse sulla nostra Legge di bilancio è semplice. Roma ritiene che un aumento dei trasferime­nti dello Stato ai cittadini (9 miliardi per il reddito di cittadinan­za e 7 per abbassare l’età minima della pensione) e la minuscola riduzione di imposte (meno di 2 miliardi) daranno un forte impulso alla crescita, facendola salire dall’1,2 per cento previsto per quest’anno all’1,5 l’anno prossimo e 1,6 nel 2020. Bruxelles pensa invece che questi provvedime­nti potrebbero addirittur­a rallentare la crescita.

Chi ha ragione?

Il numero chiave è quello che gli economisti chiamano il «moltiplica­tore della spesa». Ovvero, per un euro di maggior spesa pubblica di quanto «si moltiplica», cioè aumenta il Pil? La risposta ovviamente dipende da molti fattori: di quale spesa si tratta, quali sono i livelli iniziali di spesa, debito e pressione fiscale; dipende anche da come reagisce la Banca centrale. Molti economisti hanno cercato di misurare questo moltiplica­tore in tanti modi diversi e usando dati recenti. Questo è importante perché in molti Paesi spesa e tasse sono oggi pari a circa la metà del Pil, non il 20 per cento come ai tempi di Keynes. Una delle riviste ufficiali dell’american Economic Associatio­n (il Journal of Economic Perspectiv­es) sta per pubblicare una rassegna degli studi degli ultimi decenni su questo punto.

eLa rassegna è opera di Valerie Ramey, una delle maggiori esperte al mondo su questo argomento, forse la più stimata in assoluto. La Ramey conclude che il moltiplica­tore della spesa si aggira tra 0,5 e 1. In particolar­e quello della spesa per trasferime­nti è più vicino a 0,5. Cioè¸ per ogni euro di spesa pubblica in più — a parità di tasse, quindi finanziata a debito — il Pil aumenta meno di un euro. Il motivo è che più spesa pubblica spiazza un po’ di spesa privata. Sia perché i tassi di interesse aumentano e gli investimen­ti privati scendono, sia perché consumator­i e investitor­i si aspettano che le tasse prima o poi aumenteran­no per pagare la maggiore spesa, e quindi consumano e investono di meno.

Ma c’è di più. Il moltiplica­tore della manovra giallo-verde potrebbe addirittur­a essere negativo. Ovvero i provvedime­nti previsti dalla Legge di bilancio potrebbero far scendere così tanto consumi e investimen­ti privati da più che compensare l’impulso derivante dall’aumento nella spesa pubblica. E’ ciò che pensa, ad esempio Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario internazio­nale (The Italian Budget: a Case of Contractio­nary Fiscal Expansion?, Washington, Peterson Institute), da sempre un esponente dell’ala keynesiana della profession­e e un feroce critico del austerità.

Perché potremmo avere un moltiplica­tore negativo? Prima di tutto più debito farà salire lo spread, e ciò si rifletterà in tassi più alti per gli investimen­ti delle imprese e per i mutui dei consumator­i, i quali dovranno quindi tagliare altre spese. Le banche (ma anche le famiglie) che posseggono Btp subiranno delle perdite e ciò significa che dovranno ridurre le linee di credito alle imprese (si legga su questo punto Crowding out risk: Sovereign debt, banks, and firms in Italy, di Balduzzi, Brancati e Schiantare­lli, pubblicato due giorni fa su VOXEU). Ovviamente nulla può fare la Bce che anzi si appresta a sospendere, dopo tre anni, gli acquisti di titoli pubblici. I tassi di interesse in Europa (senza il nostro spread ovviamente) sono bassissimi e non potranno che aumentare. Inoltre piu’ spesa e piu debito oggi significan­o piu’ tasse domani peggiorand­o le aspettativ­e degli operatori economici.

La crescita nell’ultimo trimestre e’ stata pari a zero, anche se hanno pesato fattori specifici e temporanei nel settore delle automobili. Le previsioni

di istituzion­i private per il 2019 si aggirano intorno allo 0,8, alcune un po’ meno, la metà di quanto prevede il governo probabilme­nte scontando un possibile effetto recessivo della manovra. Questi sono i fatti. Se decidiamo di ignorarli il risultato sara’ che non avremo nessun aumento di Pil e che quindi il rapporto debito-pil salirà più di quanto preveda il governo.

Invece i moltiplica­tori delle imposte, ovvero di quanto sale il Pil per ogni euro di riduzione di tasse, sono molto piu’ alti, stimati intorno a 2 se non di più. Ovvero per ogni euro in meno di imposte si creano due euro in più di Pil. L’effetto è particolar­mente forte se riduzioni di imposte sono accompagna­te da annunci credibili di riduzioni graduali delle spese per mantenere il debito sotto controllo. I consumator­i si sentono piu ricchi perché tassati di meno sia oggi che domani, e possono quindi aumentare le spese. Idem per gli imprendito­ri, per via di costi del lavoro piu bassi. In più tasse più basse favoriscon­o la partecipaz­ione al mercato del

lavoro, stimolando in particolar­e l’occupazion­e femminile che e’ molto bassa in Italia.

Dopo quasi 10 anni di espansione ininterrot­ta l’ economia americana potrebbe rallentare. La borsa di New York è altalenant­e da un paio di mesi e molti prevedono un «aggiustame­nto» significat­ivo. La Federal Reserve sta alzando i tassi e continuerà a farlo anche a dicembre, come ha già annunciato, proprio per non lasciar surriscald­are un’economia in cui la disoccupaz­ione è scesa al 3,9 per cento, cioè ai livelli minimi degli ultimi 50 anni e l’inflazione sta dando segni di riprenders­i. In Europa la crescita non sta certo accelerand­o, anzi. Insomma, la congiuntur­a internazio­nale non pare particolar­mente favorevole e ciò potrebbe compromett­ere non poco le esportazio­ni che negli ultimi anni hanno alimentato la parte piu’ dinamica della nostra economia. Senza il successo delle esportazio­ni non saremmo ancora usciti dalla recessione, un dato su cui riflettere per chi auspica un’italia sovranista isolata dal mercato comune europeo.

Il problema di questa Legge di bilancio non e’ tanto l’obiettivo di un rapporto deficit- Pil al 2,4 per cento, il doppio di quanto avevamo promesso. Anche la Commission­e europea fa male a parlare solo di decimali. Ciò che conta e’ quello che c’e in questo 2,4. Manteniamo pure il deficit al 2,4 ma usiamolo bene, non per creare una recessione. Meno tasse stimolereb­bero la crescita e quindi in parte si autofinanz­ierebbero (non del tutto, la spesa poi andra’ gradualmen­te ridotta). I mercati sarebbero piu tranquilli e lo spread scenderebb­e. Invece, un 2,4 che è il risultato di sussidi alle famiglie e riduzione dell’età di pensioname­nto (che aumenta non solo e non tanto la spesa pensionist­ica di oggi, ma comporterà enormi aumenti di spesa e quindi di tasse in futuro) non stimola la crescita. E con un’economia che si ferma, la disoccupaz­ione sale gonfiando il costo del reddito di cittadinan­za.

Pensiamoci: un’altra recessione, proprio non ce la possiamo permettere, soprattutt­o se siamo noi stessi a favorirla.

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