Il sindaco leader riluttante
«Resto concentrato su Milano»: così il sindaco Giuseppe Sala alla domanda se stia studiando da leader. Ma restano i dubbi.
MILANO Lei sta studiando da leader nazionale? Se oggi uno dovesse porre la domanda diretta, Beppe Sala sindaco di Milano, probabilmente risponderebbe parafrasando le parole di Jessica Rabbit: «Sono gli altri che mi disegnano così». Anzi, a domanda diretta solo pochi giorni fa ha risposto secco: «Se mi venissero pensieri di fare carriera politica mi autoinibisco, resto concentrato su Milano». I fatti però raccontano tutt’altra storia. Nel vuoto asfittico dell’opposizione al governo gialloverde, Beppe Sala, volente o nolente, sta sempre di più assurgendo al ruolo di antagonista del duo Di Maio-salvini. Più Di Maio che Salvini come dimostra l’ultima polemica sulla chiusura degli esercizi commerciali. Ma il risultato finale non cambia.
Un ruolo quasi obbligato il suo. Da una parte l’assoluta indifferenza del governo alle richieste della città. In sei mesi né il ministro delle Infrastrutture né quello dello Sviluppo economico, due ruoli chiave per l’economia meneghina, si sono fatti vedere a Milano. Per non parlare del presidente del Consiglio: «Il premier spagnolo Pedro Sanchez è entrato in carica e il giorno dopo è venuto a Milano a incontrarmi — ha denunciato Sala, pochi giorni fa — mentre Conte è venuto di nascosto senza il buonsenso di chiamarmi per vederci. Non è un affronto a me, ma alla città». Più che il sospetto, la certezza che Milano sia l’ultima grande roccaforte rossa da far cadere chiudendo il rubinetto degli investimenti e facendo orecchie da mercante a ogni richiesta del capoluogo lombardo. Dall’altra lo spaesamento che regna nel campo d’agramante del centrosinistra, alle prese con congressi, correnti e segretari papabili.
Sala va ripetendo da settimane che al popolo di sinistra non importa niente delle primarie: «Credo che la gente faccia fatica ormai a capirne il senso, anche perché poi, alla fine normalmente si riducono a scontri tra correnti» ha ribadito proprio ieri. Il tema per Sala è un altro: individuare il proprio programma e fare opposizione per difendere gli interessi di una parte del Paese che non si riconosce nel nuovo governo.
Un combinato disposto — la volontà di fare opposizione sui temi e l’indifferenza per il destino della città — che lo ha portato ad assumere un ruolo che va ben al di là della figura di sindaco di Milano. Ruolo che però non potrebbe esistere senza la spinta di una città che sta vivendo un momento di grazia. Eppure, Sala, quando il governo ha mosso i primi passi è stato sempre molto prudente. «Lasciamoli lavorare» è stato il basso continuo delle sue dichiarazioni. Fino a che, passati sei mesi, la situazione è degenerata in un crescendo rossiniano. Attacca Salvini sul decreto sicurezza: «Crea clandestini e riversa tutto il problema sulle spalle dei sindaci». Attacca il governo sulla riforma delle pensioni: «Non fa gli interessi dei giovani». Bolla i Cinque Stelle di «incompetenza» e la Lega di criptofascismo. Critica il governo sul mancato appoggio economico alla candidatura di Milano e Cortina alle Olimpiadi 2026. «Mi lamento un po’ ma non frigno — ha detto nei giorni scorsi il sindaco —, se mai rilancio ancora di più portando avanti una visione della città al 2030, in cui Milano farà sempre Milano». E magari Sala, molto prima del 2030, farà il leader dell’opposizione. Volente o nolente.
Le primarie dem «La gente ormai fatica a capirne il senso, alla fine si riducono a uno scontro tra correnti»