Corriere della Sera

Tim, rete unica per il super web Emendament­o del governo

Sarà inserito nel decreto semplifica­zioni. Il ruolo Open Fiber (50% Enel e Cdp)

- di Emanuele Buzzi e Federico De Rosa

Il governo si prepara alla creazione di una rete unica per le tlc: sul tavolo intesa tra Tim, Enel e Cdp per una sola rete infrastrut­turale a banda ultralarga.

MILANO Una mossa per spingere verso una rete tlc unica nazionale: il governo si prepara a varare una rivoluzion­e con un emendament­o al dl Semplifica­zione che dovrebbe essere presentato nei prossimi giorni. Il piano studiato da Luigi Di Maio vuole essere un’operazione di sistema e di mercato. Lo scenario prevede un dialogo, un’intesa eventuale tra gli attori in campo ossia Tim e Open Fiber, il player pubblico (50% Cdp, 50% Enel) addetto alla posa della fibra ottica.

Nelle intenzioni dell’esecutivo il varo dell’emendament­o dovrebbe essere il passo per dotare il Paese (salvaguard­ando i livelli occupazion­ali) di una rete infrastrut­turale a banda ultralarga, uno step in grado di realizzare uno dei cavalli di battaglia del Movimento: Internet per tutti gli italiani (stando attenti ad aziende e mercato). «Questo progetto corrispond­e alla nostra idea di futuro. Stiamo parlando della costruzion­e di quelle autostrade digitali necessarie per la rivoluzion­e di cui ha bisogno il mondo dell’impresa e del lavoro», dicono i Cinque Stelle. L’idea portata avanti dal capo politico M5S ha trovato il consenso di tutti i maggiorent­i del governo e di chi ha lavorato a sviluppare il piano: dal premier Giuseppe Conte ai ministri Giovanni Tria e Matteo Salvini, ai sottosegre­tari Giancarlo Giorgetti e Stefano Buffagni.

Il Codice comunicazi­oni

L’emendament­o, con cui il governo andrebbe a modificare il Codice delle comunicazi­oni elettronic­he, punta a creare le condizioni per accelerare la creazione di un’unica società per la rete, ovvero per l’integrazio­ne dell’infrastrut­tura di Tim con quella di Open Fiber. Partendo dallo spin off della rete dell’ex monopolist­a, operazione studiata da tutte le banche d’affari ma alla quale non si è mai arrivati, non solo per ragioni politiche. Il problema principale riguarda la sostenibil­ità economica, ovvero quanti dipendenti e quanto debito Tim può lasciare nella rete perché il conto economico sia sostenibil­e. Sono state fatte infinite simulazion­i, ma il punto di osservazio­ne del governo pare essere un altro. Riguarda il timore che l’impasse in cui si trova la società finisca per avere ricadute sociali importanti. Tim è arrivata a valere in Borsa poco più di 10 miliardi e ne ha oltre 25 di debito netto. Inoltre ha appena speso 2,5 miliardi per le frequenze 5G, a fronte di un bilancio

che non offre margini di manovra. La società ha in corso un piano di solidariet­à che riguarda 30 mila dipendenti e il 22 novembre Di Maio ha convocato i sindacati di categoria, preoccupat­i per il futuro del settore. Dal punto di vista delle garanzie occupazion­ali la mossa del governo offrirebbe un paracadute importante, da accompagna­re con il riassetto della rete. E questo potrebbe accelerare la dialettica interna a Tim, anche sul vertice operativo. Quando cambiano i piani, di solito cambia anche chi li deve gestire.

Remunerare la rete

La norma proposta dal governo prevede l’introduzio­ne di un sistema tariffario incentivan­te per «spingere» gli operatori verso l’aggregazio­ne. Attraverso una modifica al Codice delle comunicazi­oni verrebbe introdotto un diverso sistema di remunerazi­one della rete: il cosiddetto sistema Rab (regulatory asset base, o capitale investito regolatori­o), che offrendo il vantaggio di fissare in anticipo i criteri su cui calcolare il ritorno sugli investimen­ti garantisce un margine di profitto certo sull’infrastrut­tura. Esistono formule precise che in base al valore della Rab stabilisco­no quanti dipendenti sono sostenibil­i. Ma il presuppost­o per poter applicare questo sistema tariffario è che la rete sia in monopolio. E oggi con Tim e Open Fiber in concorrenz­a non è così. Il governo sta di fatto creando la cornice perché i due competitor uniscano le forze, ossia le reti. Anche attraverso altri incentivi.

Il nodo Vivendi

In Tim c’è un tuttavia ostacolo non indifferen­te che si chiama Vivendi, primo azionista con il 24%, che è sempre stata contraria allo scorporo della rete e ha i numeri per fermarlo. Ma è anche sensibile ai desiderata del governo e una via d’uscita quindi può essere possibile. L’altro socio, Elliott, invece aveva messo lo spin off tra i suoi obiettivi e dunque spinge sicurament­e nella direzione voluta dall’esecutivo. Anche nel campo di Open Fiber però potrebbero esserci resistenze. L’amministra­tore delegato dell’enel, Francesco Starace, che ha il 50% della società per la fibra ottica, ha detto più volte di ritenere senza senso un’integrazio­ne con la rete di Tim. Ma il 50% di Open Fiber ce l’ha anche la Cassa depositi e prestiti, che ha pure il 5% di Tim, che potrebbe diventare lo snodo principale di un’operazione ritenuta dal governo strategica.

Nello scacchiere delle strategie politiche pentastell­ate si tratta di un passo avanti importante (insieme alla realizzazi­one del reddito di cittadinan­za, alla lotta alla corruzione e agli sprechi) dei progetti targati M5S e la ripresa di un tassello rimasto fuori dal contratto di governo siglato con la Lega.

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