Tim, rete unica per il super web Emendamento del governo
Sarà inserito nel decreto semplificazioni. Il ruolo Open Fiber (50% Enel e Cdp)
Il governo si prepara alla creazione di una rete unica per le tlc: sul tavolo intesa tra Tim, Enel e Cdp per una sola rete infrastrutturale a banda ultralarga.
MILANO Una mossa per spingere verso una rete tlc unica nazionale: il governo si prepara a varare una rivoluzione con un emendamento al dl Semplificazione che dovrebbe essere presentato nei prossimi giorni. Il piano studiato da Luigi Di Maio vuole essere un’operazione di sistema e di mercato. Lo scenario prevede un dialogo, un’intesa eventuale tra gli attori in campo ossia Tim e Open Fiber, il player pubblico (50% Cdp, 50% Enel) addetto alla posa della fibra ottica.
Nelle intenzioni dell’esecutivo il varo dell’emendamento dovrebbe essere il passo per dotare il Paese (salvaguardando i livelli occupazionali) di una rete infrastrutturale a banda ultralarga, uno step in grado di realizzare uno dei cavalli di battaglia del Movimento: Internet per tutti gli italiani (stando attenti ad aziende e mercato). «Questo progetto corrisponde alla nostra idea di futuro. Stiamo parlando della costruzione di quelle autostrade digitali necessarie per la rivoluzione di cui ha bisogno il mondo dell’impresa e del lavoro», dicono i Cinque Stelle. L’idea portata avanti dal capo politico M5S ha trovato il consenso di tutti i maggiorenti del governo e di chi ha lavorato a sviluppare il piano: dal premier Giuseppe Conte ai ministri Giovanni Tria e Matteo Salvini, ai sottosegretari Giancarlo Giorgetti e Stefano Buffagni.
Il Codice comunicazioni
L’emendamento, con cui il governo andrebbe a modificare il Codice delle comunicazioni elettroniche, punta a creare le condizioni per accelerare la creazione di un’unica società per la rete, ovvero per l’integrazione dell’infrastruttura di Tim con quella di Open Fiber. Partendo dallo spin off della rete dell’ex monopolista, operazione studiata da tutte le banche d’affari ma alla quale non si è mai arrivati, non solo per ragioni politiche. Il problema principale riguarda la sostenibilità economica, ovvero quanti dipendenti e quanto debito Tim può lasciare nella rete perché il conto economico sia sostenibile. Sono state fatte infinite simulazioni, ma il punto di osservazione del governo pare essere un altro. Riguarda il timore che l’impasse in cui si trova la società finisca per avere ricadute sociali importanti. Tim è arrivata a valere in Borsa poco più di 10 miliardi e ne ha oltre 25 di debito netto. Inoltre ha appena speso 2,5 miliardi per le frequenze 5G, a fronte di un bilancio
che non offre margini di manovra. La società ha in corso un piano di solidarietà che riguarda 30 mila dipendenti e il 22 novembre Di Maio ha convocato i sindacati di categoria, preoccupati per il futuro del settore. Dal punto di vista delle garanzie occupazionali la mossa del governo offrirebbe un paracadute importante, da accompagnare con il riassetto della rete. E questo potrebbe accelerare la dialettica interna a Tim, anche sul vertice operativo. Quando cambiano i piani, di solito cambia anche chi li deve gestire.
Remunerare la rete
La norma proposta dal governo prevede l’introduzione di un sistema tariffario incentivante per «spingere» gli operatori verso l’aggregazione. Attraverso una modifica al Codice delle comunicazioni verrebbe introdotto un diverso sistema di remunerazione della rete: il cosiddetto sistema Rab (regulatory asset base, o capitale investito regolatorio), che offrendo il vantaggio di fissare in anticipo i criteri su cui calcolare il ritorno sugli investimenti garantisce un margine di profitto certo sull’infrastruttura. Esistono formule precise che in base al valore della Rab stabiliscono quanti dipendenti sono sostenibili. Ma il presupposto per poter applicare questo sistema tariffario è che la rete sia in monopolio. E oggi con Tim e Open Fiber in concorrenza non è così. Il governo sta di fatto creando la cornice perché i due competitor uniscano le forze, ossia le reti. Anche attraverso altri incentivi.
Il nodo Vivendi
In Tim c’è un tuttavia ostacolo non indifferente che si chiama Vivendi, primo azionista con il 24%, che è sempre stata contraria allo scorporo della rete e ha i numeri per fermarlo. Ma è anche sensibile ai desiderata del governo e una via d’uscita quindi può essere possibile. L’altro socio, Elliott, invece aveva messo lo spin off tra i suoi obiettivi e dunque spinge sicuramente nella direzione voluta dall’esecutivo. Anche nel campo di Open Fiber però potrebbero esserci resistenze. L’amministratore delegato dell’enel, Francesco Starace, che ha il 50% della società per la fibra ottica, ha detto più volte di ritenere senza senso un’integrazione con la rete di Tim. Ma il 50% di Open Fiber ce l’ha anche la Cassa depositi e prestiti, che ha pure il 5% di Tim, che potrebbe diventare lo snodo principale di un’operazione ritenuta dal governo strategica.
Nello scacchiere delle strategie politiche pentastellate si tratta di un passo avanti importante (insieme alla realizzazione del reddito di cittadinanza, alla lotta alla corruzione e agli sprechi) dei progetti targati M5S e la ripresa di un tassello rimasto fuori dal contratto di governo siglato con la Lega.