PRESCRIZIONE BLOCCATA? MA SERVONO DUE RIMEDI
«Truffatruffambuiguitá», sigla 25 anni fa della parodia tv di un certo tipo di comunicazione, è il jingle dei promotori pentaleghisti di una riforma della prescrizione tanto necessaria quanto semplicistica nel solo fermarla dopo la sentenza di primo grado, sia di condanna sia assolutoria. Quando infatti dicono che in Paesi come la Germania si fa così, non dicono però che lì la legge si pone anche il contestuale problema di scongiurare che una persona giudicata in Tribunale resti poi in indefinita attesa di un verdetto d’appello o Cassazione per colpa di lentezze patologiche della macchina giudiziaria. Rischio a cui la Germania dal 2008 non risponde (come il «governo del cambiamento») con la sola evocazione dei futuribili benefici di annunciate riforme e assunzioni, ma con un rimedio compensativo che, se la sentenza finale è di condanna, consiste nel detrarre dalla pena una quota proporzionale all’accertata irragionevole durata del processo non addebitabile a manovre dilatorie dell’imputato; e che invece, se c’è assoluzione, consiste in un indennizzo all’imputato, a ristoro della «pena» in sé già subíta con il protrarsi dei giudizi. Non solo. A prescrizione bloccata, lì la collettività si pone in una ottica solidaristica rispetto all’altro danno rappresentato per l’imputato già dal dover continuare (pur dopo una prima assoluzione) ad affrontare le spese di difesa: poiché é lo Stato a chiedere all’individuo quel sacrificio necessario a un accertamento giudiziario compiuto nell’interesse della collettività, è poi lo Stato a farsene carico, pagando le spese legali quantomeno a chi infine sia pienamente assolto. Nulla di ciò sta nelle tre righe «epocali» vantate dalla maggioranza pentaleghista. Che, curiosamente, un rimborso di spese legali sta invece varando: ma solo nei processi a chi spara ai ladri per «legittima difesa».
lferrarella@corriere.it