«La web tax colpisca i colossi e non le imprese che già pagano»
Noseda (Iab Italia): se ben applicata l’erario potrebbe incassare 500 milioni l’anno
«Il comparto del “digital advertising” ha un peso sempre più rilevante a livello di sistema economico e una tassazione ben congegnata potrebbe procurare all’erario un gettito di almeno 500 milioni di euro l’anno, un valore molto superiore a quello ottenibile con la normativa che entrerà in vigore a partire da gennaio 2019, che per giunta ha effetti distorsivi». Carlo Noseda, presidente di Iab Italia, l’interactive Advertising Bureau che nel nostro Paese raggruppa oltre 180 aziende impegnate nel «digital advertising» punta il dito sulla web tax, tema cruciale del momento, e anticipa alcuni dati che verranno presentati al 16esimo Iab Forum che si terrà a Milano il 13 e il 14 novembre.
Quali sono i numeri del settore?
«Secondo dati dell’osservatorio Internet media della School of Management del Politecnico di Milano gli investimenti pubblicitari delle aziende in forma digitale sfioreranno nel 2018 i 3 miliardi di euro, in crescita dell’11% rispetto al 2017. Il “digital advertising” e più in generale Carlo Noseda, presidente di Iab Italia e ceo di M&C Saatchi l’economia digitale sono un volano di sviluppo fondamentale per l’economia del Paese».
Qual è dunque il rilievo del digital advertising sul totale del mercato pubblicitario italiano?
«Si tratta di un peso decisivo. I tre miliardi investiti nel 2018 rappresentano oltre un terzo degli investimenti totali italiani, una quota seconda soltanto a quella della raccolta pubblicitaria televisiva. Da web e tv viene l’80% della raccolta pubblicitaria complessiva».
Tuttavia al Forum di domani non parlerete solo dei vostri successi...
«No, perché questo mercato presenta delle strozzature e dei problemi notevoli. I tre attori globali — Google, Amazon e Facebook, da soli catturano il 75% delle risorse e si accaparrano il 90% della crescita. In queste condizioni le possibilità di sviluppo per le aziende italiane sono drasticamente ridimensionate».
Il tema del Fisco e della
web tax cresce dunque di importanza?
«Sì, perché le norme che entreranno in vigore da gennaio rischiano di essere punitive per le aziende italiane e di ottenere per il Fisco un gettito largamente inferiore al potenziale ottenibile con una legge più aderente alle reali condizioni del mercato».
Vediamo meglio...
«Intendiamoci, il problema dell’elusione fiscale dei giganti del web è globale. Ma la legge italiana, basata sulla tassazione dei ricavi, rischia di introdurre una imposta aggiuntiva che va a pesare sulle imprese che già pagano regolarmente. È molto difficile, infatti, stabilire qual è la quota dei ricavi realizzati da aziende che operano prevalentemente con servizi in remoto».
Quali le controproposte?
«Il nostro suggerimento al legislatore è di ridurre l’ambito di applicazione al solo digital advertising e di lasciare fuori, per esempio, l’ecommerce, che pone problemi di individuazione della base imponibile per il momento di difficile soluzione. Inoltre, proprio per favorire lo sviluppo delle aziende italiane, non soltanto delle start up, sarebbe opportuno introdurre un limite di esenzione per le aziende più piccole, ad esempio quelle che fatturano meno di 20 milioni l’anno. E per le aziende italiane che già pagano le imposte sul reddito d’impresa un sistema premiante basato su crediti di imposta».