Si arriva meglio in culla al Centro e al Nord
La mortalità neonatale in Italia è la metà rispetto a quella degli Usa, anche se permangono differenze marcate tra le diverse regioni del Paese. Nodi critici sono i punti nascita troppo piccoli e la gestione dei parti pretermine, che sono uno su dieci, un numero destinato a crescere
L’Italia oggi è uno dei Paesi più sicuri al mondo dove nascere. Ma potremmo migliorare: Centro-nord e Sud viaggiano a velocità diverse e registrano tassi di mortalità molto differenti, sono ancora aperti punti nascita troppo piccoli che non offrono garanzie di sicurezza adeguate e ci sono tanti bimbi che vengono al mondo troppo presto. Sono alcune delle luci e delle ombre sottolineate dalla Società Italiana di Neonatologia durante l’ultimo congresso, un’occasione per fare un bilancio su come si nasce oggi in Italia e per scoprire, per esempio, che il «mito americano» in campo neonatale vacilla: nel nostro Paese i decessi di neonati entro un mese dalla nascita non sono più di due su mille, negli Stati Uniti in media arrivano al doppio.
C’è tuttavia un’altra faccia della medaglia, perché al Sud la mortalità neonatale è del 39 per cento più alta rispetto al Centro-nord, una disparità di risultati che gli esperti imputano alla cronica carenza di risorse nel meridione.
«Nonostante questo, anche nella peggior regione del Sud la probabilità di morte neonatale è inferiore rispetto a quella media statunitense — specifica Fabio Mosca, presidente Sin e direttore dell’unità di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’irccs Cà Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano —. In Italia si nasce in grande sicurezza quasi ovunque perché la rete di punti nascita e terapie intensive neonatali è molto diffusa e ben strutturata, tuttavia se ne potrebbe ancora migliorare l’efficienza: ci sono ancora troppe strutture piccole la cui presenza andrebbe ottimizzata, anche se con prudenza». L’annosa questione è la chiusura dei centri nascita minuscoli: l’accordo Stato Regioni del 2010 prevede razionalizzazione e riduzione progressiva dei punti nascita con meno di mille parti l’anno, dato che l’indicazione condivisa dagli esperti è che al di sotto di 500 nuovi nati l’anno una struttura dovrebbe chiudere.
«Al di sotto di questo numero non può essere garantita un’esperienza degli operatori adeguata a tutelare la sicurezza di mamme e bambini — spiega Mosca —. Se per motivi geografici serve mantenere un presidio in un territorio poco raggiungibile lo si può fare, ma bisogna che il personale sanitario acquisisca adeguate competenze».
Se manca l’esperienza può essere difficile anche affrontare un’evenienza sempre più frequente come la nascita di un neonato pretermine, ovvero un parto prima della 37ma settimana di gestazione: un bimbo su dieci viene al mondo prima, come rivelano i dati raccolti dal Neonatal Network della Sin, una rete che convoglia informazioni su tutti i nati prematuri dei centri aderenti. Anche qui, tante luci e qualche ombra. L’analisi dei dati mostra che la mortalità è elevata nei neonati che nascono fra 22 e 24 settimane (oltre il 55 per cento), ma già fra le 25 e le 27 settimane è più che dimezzata (al 21 per cento) e dopo le 28 settimane scende al 4,6 per cento, per diventare minima dopo le 32 settimane (0,6 per cento). «Fino a pochi anni fa i bambini che nascevano di 23 o 24 settimane morivano tutti. Guardando l’andamento della sopravvivenza negli ultimi trent’anni si può dire che siamo assai vicini al limite biologico al di sotto del
I consigli Uno stile di vita corretto e il non rimandare troppo la gravidanza sono precauzioni per ridurre il numero di parti pretermine
quale non si potrà scendere. È difficile pensare che queste percentuali possano migliorare ancora — fa notare Mosca —. La buona notizia è che all’aumento della sopravvivenza dei pretermine non si è associata un’impennata dei bambini con disabilità e ciò significa che anche la prevenzione e la gestione dei problemi connessi alla prematurità sono molto migliorate». Il grande rischio di nascere pri- ma che l’organismo sia completamente formato, infatti, è quello di ritrovarsi con patologie gravi con cui convivere per il resto della vita, dai disturbi neurologici e cognitivi ai problemi cardiovascolari. Senza contare le possibili emergenze da affrontare nelle prime settimane, che possono lasciare strascichi a lungo: il 42 per cento dei prematuri, ad esempio, ha disturbi respiratori. «La vera sfida oggi è soprattutto migliorare la qualità delle cure, per gestire al meglio i bambini e migliorarne l’esito (si veda l’articolo nella pagina a fianco)», sottolinea il neonatologo.
L’altro obiettivo è cercare di prevenire le nascite premature: oggi sono sempre più numerose le future mamme con fattori che possono predisporre a un parto prima del tempo, dalle malattie acute o croniche (come l’ipertensione), all’abuso di alcol, fumo o droghe, dalla malnutrizione all’età superiore ai 35 anni. Uno stile di vita corretto e il non rimandare troppo l’arrivo della cicogna sono perciò precauzioni fondamentali per ridurre la probabilità che il bimbo nasca troppo presto, rischio che sale anche in caso si sia state sottoposte a tecniche di fecondazione assistita.
I dati raccolti dal Neonatal Network confermano che fra questi neonati le percentuali di gemelli sono più alte, il che comporta quasi inevitabilmente anche che il parto sia anticipato.