Dove porta l’ambulanza se si ha un ictus?
Per garantire le cure più adeguate il mezzo di soccorso dovrebbe raggiungere un ospedale dotato di Stroke Unit. Ma ce ne sono poche
I problemi dei pazienti colpiti da ictus non si limitano al trasporto nelle strutture più attrezzate e alla riabilitazione dopo l’evento. C’è anche la terapia: «Ogni anno 14.400 cittadini colpiti da ictus ischemico dovrebbero essere trattati con trombolisi intravenosa, nel 2017 lo sono stati 10.500 — riferisce Danilo Toni —. Va peggio per la trombectomia meccanica: l’anno scorso l’hanno ricevuta 2675 pazienti su 7.200 che ne avrebbero avuto bisogno» https://www. corriere.it/ salute/ neuroscienze
Come viene curato in Italia chi ha un ictus cerebrale? Questa domanda è fondamentale poiché ricevere nelle prime ore dopo l’evento le cure migliori in strutture ospedaliere specializzate, i Centri Ictus (o Stroke Unit), può salvare la vita ed evitare, o almeno ridurre, le conseguenze invalidanti di una malattia neurologica che nel nostro Paese colpisce ogni anno circa 150mila persone ed è la terza causa di morte e la prima di disabilità.
«Innanzitutto non bisogna perdere tempo in caso di sospetto ictus. I segnali possono essere: bocca storta, o perdita di forza o di sensibilità a un braccio o a una gamba, vista annebbiata, cefalea intensa mai provata, difficoltà a parlare o a capire che cosa dicono gli altri — esordisce Nicoletta Reale, presidente della Federazione delle Associazioni Italiane per la Lotta all’ictus Cerebrale (A.LI.CE. Italia onlus) — . In questi casi va chiamato subito il numero di emergenza 112/118».
Se malauguratamente fossimo colpiti da un ictus, l’ambulanza ci porterebbe all’ospedale più vicino casa o in quello dotato di un Centro ictus?
In base alle norme in vigore (Decreto Ministeriale sugli standard dell’assistenza ospedaliera n. 70/2015) è nostro diritto essere trasportati nelle «Unità ospedaliere per il trattamento dei pazienti con ictus», dove personale esperto è in grado di garantire le cure appropriate. «Sono organizzate sul territorio in rapporto alla popolazione e su due livelli di complessità — spiega il presidente dell’italian Stroke Unit, Danilo Toni, direttore dell’unità di trattamento neurovascolare e neurologia d’urgenza al Policlinico Umberto I di Roma —. In media, ogni 200 mila abitanti, ci dovrebbe essere un Centro ictus di primo livello dove poter essere sottoposti a trombolisi intravenosa, terapia in grado di sciogliere il coagulo che impedisce al sangue di arrivare al cervello e che va effettuata nelle prime 4-5 ore dalla comparsa dei sintomi. Per la gestione dei casi più complessi — prosegue Toni — ci dovrebbe essere, per ogni milione di abitanti, un centro di secondo livello in cui si effettua, oltre alla trombolisi, anche la trombectomia meccanica, l’asportazione del trombo mediante appositi strumenti inseriti nell’arteria occlusa».
È così dappertutto?
«Purtroppo ancora oggi in alcune aree del Paese dipende dalla fortuna di essere nel posto giusto al momento giusto — risponde il neurologo —. Se ci si trova in un’area metropolitana o in regioni dove esiste una “rete ictus” che funziona (si veda il box in alto) è più probabile che l’ospedale in cui si viene trasportati sia dotato di un Centro ictus». Altrimenti, la struttura di riferimento è il Pronto Soccorso dell’ospedale più vicino casa. «Attualmente — riferisce Toni — esistono 190 Centri ictus (si veda www.aliceitalia.org) rispetto ai 300 necessari secondo il DM 70 e sono carenti soprattutto al Sud».
Oggi due pazienti su tre sopravvivono all’ictus, ma non significa che siano guariti. Una vita dopo l’ictus è possibile?
«In molti casi è fondamentale la riabilitazione post ictus, che va avviata fin dalla fase acuta, per restituire autonomia al paziente e facilitare il suo ritorno alla vita precedente — risponde la presidente di ALICE Italia — . Il recupero delle funzioni compromesse, spesso non solo motorie ma anche cognitive, deve avvenire nella struttura più appropriata e nei tempi necessari. Purtroppo non è ancora così dappertutto, come evidenzia una nostra indagine tuttora in corso».
Dopo la fase di emergenza, che tipo di assistenza si riceve (o si dovrebbe ricevere)?
«Il paziente andrebbe trasferito nella struttura di neuroriabilitazione corrispondente ai suoi bisogni di recupero — risponde Stefano Paolucci, presidente eletto della Società italiana di riabilitazione neurologica (Sirn) —. Nei casi più complessi è quella “di alta specialità”, dove il paziente riceve un trattamento intensivo (almeno sette ore al giorno rispetto alle tre e mezzo previste nelle altre strutture riabilitative), da parte di un’equipe di professionisti neurologi, fisiatri, logopedisti, fisioterapisti per il recupero non solo della funzione motoria, ma anche di deficit cognitivi, uso della parola, memoria, controllo di funzioni vitali come la respirazione e la deglutizione. Secondo i calcoli della Sirn, quasi una persona su tre colpita ogni anno da ictus (più di 43mila) al momento delle dimissioni dal reparto per acuti presenta esiti gravissimi che richiedono un tempestivo ricovero in strutture di neuroriabilitazione. In base ai dati epidemiologici, servirebbero circa 6mila posti letto per coprire il fabbisogno a livello nazionale, ma ce ne sono solo 1.200 ».
«Decine di migliaia di pazienti con postumi da ictus gravissimi necessitano di un approccio neuroriabilitativo di alta specialità ma non riescono ad accedervi — denuncia Antonino Salvia, direttore sanitario della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma —. Oltre a rivedere il fabbisogno di posti letto, va superato l’attuale
Carenze
Migliaia di pazienti con esiti gravissimi non accedono alle cure neuroriabilitative
approccio restrittivo in base al quale il Servizio sanitario riconosce la possibilità di ricovero in queste strutture solo al paziente che è stato in coma per almeno 24 ore. In realtà, — spiega Salvia — può capitare che le conseguenze di un ictus risultino devastanti per un paziente che non è stato in coma, mentre un malato può uscire dal coma senza gravi danni cerebrali».