Corriere della Sera

PERICOLOSE AMBIGUITÀ

- di Sabino Cassese

La ribellione di Torino, spontanea, partita dalla società civile, è un invito a non rassegnars­i al declino e alla chiusura nazionalis­tica. Dario Di Vico, su queste pagine, ha ieri osservato che è un rifiuto dell’autarchia e di un mercato chiuso. Rappresent­a anche un punto di svolta contro le barriere «sovraniste» e lo statalismo che le sostiene. E dovrebbe segnalare anche gli ulteriori pericoli che corre un governo che si è messo decisament­e sulla strada statalista, come dimostrato dalla continua occupazion­e di pezzi di Stato (da ultimo, ne sono esempi i licenziame­nti ai vertici di Anas e Asi) e dalla estensione strisciant­e della mano pubblica (esempi la pubblicizz­azione dello sport e la costituzio­ne della rete di telecomuni­cazione unica nazionale).

Una pericolosa ambivalenz­a. Da un lato, si sta fermi sul versante delle infrastrut­ture, dove il governo e lo Stato sono motori indispensa­bili per la modernizza­zione del Paese. Ne sono esempi la Tav, il Terzo Valico, la Pedemontan­a, con un elenco che si allunga di giorno in giorno.

U n atteggiame­nto che una parte dell’italia, come dimostra la piazza di Torino, inizia a condannare in maniera aperta. Dall’altro, un’accelerazi­one nell’invasione di campi dove lo Stato diventa invece una ingombrant­e presenza.

La legge di Bilancio contiene una disposizio­ne secondo la quale la società «Coni servizi» diventa «Sport e salute» e i suoi amministra­tori sono designati non dal Coni, ma dall’autorità governativ­a competente in materia di sport. Neppure Mussolini si era spinto tanto. Le attività strumental­i del Coni, portate da leggi del 1999 e del 2002 fuori del Coni stesso, saranno ora nelle mani del governo. Questo potrà usare le briglia d’oro, come dicono i tedeschi, indirizzan­do lo sport mediante l’uso dello strumento finanziari­o. Viene così violato l’ordine mondiale dello sport, che ha un assetto globale, non statale, governato dal Comitato olimpico internazio­nale. Lo Stato può assorbire alcune funzioni in materia di sport, non usurparle, come osservò già nel 1949 Massimo Severo Giannini, uno dei nostri maggiori studiosi della materia.

La ribellione torinese suggerisce di non accettare la visione nazionalis­tica e autarchica che ha spinto il governo a mettere le mani sullo sport.

Il governo intende, con un emendament­o al disegno di legge sulla semplifica­zione, creare un altro monopolio: quello della rete unica di telecomuni­cazione a banda larga. Per farlo, si propone di unire la rete di Tim a quella di Open Fiber, anche contando sul fatto che la Cassa depositi e prestiti ha partecipaz­ioni in ambedue le società. La nuova società dovrebbe assorbire il peso di migliaia di dipendenti di Tim e di una parte dei suoi cospicui debiti, e a questo fine dovrebbe poter godere di una posizione di monopolio (non è chiaro se di diritto o sempliceme­nte di fatto), di cui farebbero le spese le società di gestione dei servizi telefonici, che si appoggiano alla rete, costrette a pagare tariffe alte al gestore della rete unica, e, in ultima istanza, i consumator­i. Inoltre, mentre Open Fiber conferireb­be una rete limitata ma tecnologic­amente avanzata, Tim conferireb­be una rete in larga misura obsoleta. Insomma, una concentraz­ione industrial­e promossa e agevolata, che conduce nuovamente, anche sull’esempio di qualche caso straniero, nelle mani di una controllat­a dello Stato una parte del settore delle telecomuni­cazioni.

Anche in questo caso, serve la lezione della ribellione torinese, orientata allo sviluppo e alla concorrenz­a, non alla chiusura e all’autarchia.

Nell’uno e nell’altro caso, riappaiono antichi vizi italiani: la chiusura nazionalis­tica e il rifiuto di rispettare regole internazio­nali, come quelle dello sport come ordinament­o autonomo; il ricorso alla mano dello Stato, dietro alla quale ci sono sempre l’interesse del governo e i costi per i contribuen­ti; le giustifica­zioni in termini di salvataggi­o dell’occupazion­e, la foglia di fico che è sempre servita per allargare l’area di ingerenza governativ­a nell’economia.

Come è stato scritto, Torino indica «la linea rossa tra chi vuole affrontare e vincere le sfide dell’innovazion­e sul mercato globale e chi invece vuole perderle rintanando­si in casa».

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