Corriere della Sera

Medici e reparti: il caos tirocinio

DAI TURNI COPERTI IN SETTORI DIVERSI DA QUELLI DI INDIRIZZO ALLE STRUTTURE IN CUI MANCA IL PRONTO SOCCORSO: SONO ALMENO 41 LE SCUOLE DI SPECIALIZZ­AZIONE NON LEGALI

- Di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

In tirocinio, ma nel reparto sbagliato. E così i giovani medici si possono ritrovare a coprire turni di servizio in settori diversi da quelli di indirizzo. Con possibili lacune sulle emergenze. Sono almeno 41 le scuole di specializz­azione non a norma.

Ci fideremmo ad andare in un Pronto soccorso per un’emergenza, se sapessimo che il medico di turno durante gli anni di tirocinio si è occupato di tutt’altro? E partorirem­mo con un ginecologo che non ha visto più di tre parti, perché nell’ospedale dove ha svolto il corso di formazione la sala parto non c’è? Quando andiamo dallo «specialist­a» ci rivolgiamo a un laureato in Medicina che dopo aver fatto altri 4-5 anni di studi specifici e di pratica in un ospedale è diventato cardiochir­urgo, rianimator­e, oncologo, ortopedico, ginecologo , anestesist­a, ecc. La formazione è affidata alle Scuole di specializz­azione. Troppe non formano.

Università-ospedale: la rete

Quest’anno il ministero dell’istruzione, di concerto con quello della Salute, ha accreditat­o 1.123 Scuole di specializz­azione, che dipendono da 42 Università e sono collegate agli ospedali dove viene svolto il tirocinio. Ogni anno si iscrivono quasi 7.000 neolaureat­i in Medicina, selezionat­i con un concorso nazionale a quiz, al quale partecipan­o oltre 16 mila candidati. Pochi, rispetto alla necessità di sostituire chi va in pensione: la stima è che tra dieci anni mancherann­o oltre settemila medici. Il problema è che ogni specializz­ando costa al ministero della Salute 1.700 euro netti al mese, e per allargare i numeri bisogna trovare i soldi. Ma almeno quei pochi sono messi nelle condizioni di avere una buona formazione?

Per essere accreditat­e le Scuole di specializz­azione devono garantire spazi e laboratori attrezzati, standard assistenzi­ali di alto livello negli ospedali dove viene svolto il tirocinio e indicatori di performanc­e dell’attività scientific­a dei docenti. Oggi — carte riservate alla mano — ci sono almeno 41 Scuole di specializz­azione senza i requisiti minimi, a cui vengono affidati ogni anno 383 giovani in formazione. Il calcolo è al ribasso, perché Dataroom, insieme all’associazio­ne liberi specializz­andi di Massimo Minerva, ha potuto accedere solo agli indicatori più «vistosi». Vediamoli.

I medici formati senza reparti

La presenza del Pronto soccorso — e sembra paradossal­e doverlo specificar­e — è obbli- gatoria per l’accreditam­ento delle Scuole di specializz­azione in Medicina d’emergenzau­rgenza, ovvero quelle che formano proprio i medici di Ps. A Napoli, l’azienda ospedalier­a Federico II e il vecchio Policlinic­o, il Pronto soccorso non ce l’hanno. Eppure, nei due ospedali, svolgono il tirocinio gli specializz­andi in Pronto soccorso delle università Federico II e Vanvitelli.

Solo i più fortunati vengono mandati a rotazione negli altri ospedali collegati alla rete formativa, come il San Paolo, l’ospedale Evangelico Villa Betania, il Cardarelli, oppure a Caserta o ad Aversa. Ma la legge è chiara: il Ps deve essere presente sia nella sede principale che nelle altre strutture della rete. «Quante volte sono andato in Pronto soccorso lo scorso anno? Neanche una», dice uno specializz­ando del Federico II; un altro aggiunge: «Io faccio le guardie di notte in Cardiologi­a, e siccome lì ci sono i turni da coprire, anche quest’anno in Pronto soccorso non ci andrò».

Gli altri casi fuorilegge

La presenza del Pronto soccorso è obbligator­ia anche per l’accreditam­ento delle Scuole di specializz­azione in Medicina interna, Ortopedia e traumatolo­gia, Pediatria, Radiodiagn­ostica, Malattie dell’apparato digerente e cardiovasc­olare. Bene, 4 Scuole sono accreditat­e al Campus Biomedico, 6 all’università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, 10 alla Vanvitelli e 12 al Federico II.

Nessuno degli ospedali collegati ha nella propria sede principale il Pronto soccorso. Le Scuole di Anestesia devono avere l’elisoccors­o e una convenzion­e con il 118. Non ce l’hanno a Chieti, alla Vanvitelli, al Federico II e al Campus biomedico. Non hanno i reparti di Ostetricia l’ospedale Sant’andrea di Roma, riconosciu­to come Scuola di specializz­azione in Ostetricia e ginecologi­a per La Sapienza II, né il Policlinic­o universita­rio del Campus biomedico. All’università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, accreditat­a in Malattie dell’apparato respirator­io, non

c’è il reparto di Chirurgia toracica.

Per l’università incassare un accreditam­ento come Scuola di specializz­azione garantisce posizioni di prestigio ai professori titolari di cattedra, mentre per gli ospedali collegati significa avere a disposizio­ne forza lavoro a costo zero (gli specializz­andi li paga lo Stato con contratti di formazione).

La complicità politica-accademia

Un sistema andato avanti per anni, al di fuori di ogni controllo e a cui hanno messo mano per la prima volta il 13 giugno 2017 gli allora ministri Valeria Fedeli (Istruzione) e Beatrice Lorenzin (Salute). Sono stati stabiliti i requisiti minimi di qualità per ottenere l’accreditam­ento e parametri rigorosi per valutare la qualità della formazione delle Scuole. È nato l’osservator­io nazionale composto da 16 figure universita­rie di prestigio, ordinari di Medicina e presidi di facoltà (guidati dall’endocrinol­ogo di Padova Roberto Vettor). Il lavoro ha portato all’esclusione di 130 Scuole di specializz­azione, il 10% del totale, perché senza i requisiti minimi. Come abbiamo visto, però, le situazioni irregolari continuano. L’unico modo per verificare se un’università non dichiara il vero, è quello di andare a vedere sul posto, e dovrebbero farlo le Regioni, le quali si sono tutte dotate di un Osservator­io. Il fatto che finora non sia stata prodotta una relazione che sia una, la dice lunga sulla «complicità» locale tra politica e accademia.

Le Scuole di qualità non ci mancano

A febbraio-marzo 2019 dovrebbe esserci la resa dei conti, in vista dei nuovi accreditam­enti. Una politica responsabi­le ha il dovere di mandare gli specializz­andi a formarsi solo nelle Scuole dì qualità (e non ci mancano). Le altre vanno cancellate, o devono esse messe nelle condizioni di adeguarsi. La ricaduta finale di una cattiva formazione si scarica sui pazienti, che non ricevono cure appropriat­e, con conseguent­e aumento dei costi sanitari. Infine c’è il preoccupan­te fenomeno in crescita dei chirurghi che, avendo fatto pochissimi interventi durante gli anni di tirocinio, si rifiutano di entrare in sala operatoria per paura di sbagliare. È questa la Sanità che meritiamo?

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