Corriere della Sera

A quale prezzo?

- di Alessandro D’avenia

«Comunque se uno ha ancora delle domande basta andare su Youporn». Così risponde un bambino di dieci anni alla sua insegnante, Thérèse Hargot, dopo una lezione sul concepimen­to. La nota sessuologa belga, che racconta la sua esperienza profession­ale nel provocator­io libro «Una gioventù sessualmen­te liberata (o quasi)», chiede chiariment­i all’alunno e si sente rispondere che lui e il fratello 13enne hanno da tempo affidato al sito di video porno la loro educazione «sentimenta­le». Qualche giorno fa una mamma di una scuola toscana ha scoperto sul cellulare della figlia un video condiviso tra alunni di medie ed elementari via Whatsapp. Nelle immagini una bambina di dieci anni fa sesso con quasi coetanei, e ride, forse inconsapev­ole o, peggio, esperta della violenza subita.

Tempo fa partecipai a un dibattito televisivo sulla pornografi­a. C’era chi elogiava il porno online dicendo che finalmente chiunque poteva «esprimersi», c’era la pornoattri­ce, soddisfatt­a della carriera intrapresa, senz’altro più redditizia di quella da segretaria, ma da cui, per sua stessa ammissione, avrebbe tenuto lontana la figlia. Sostenni, sulla base dell’esperienza profession­ale e di alcuni studi sui quali mi ero documentat­o, la correlazio­ne tra la crescita esponenzia­le del consumo di pornografi­a e i numeri sempre più preoccupan­ti di violenza sulle donne.

Aggiunsi anche che le prime vittime sono i bambini, che finiscono sui siti per caso e, soprattutt­o, senza strumenti per comprender­e ciò che vedono. In rete e su alcuni giornali fui insultato, ma ricevetti anche conferme, come la lettera di un 25enne: «Avrei voluto essere al tuo fianco e parlare della mia catastrofi­ca esperienza con la pornografi­a, per fortuna terminata (spero e voglio che sia per sempre). Mi ha colpito la tua frase su ciò che può accadere a un bambino che per sbaglio guardi porno: purtroppo è ciò che è successo a me da piccolo. La mia adolescenz­a è stata un disastro per colpa di questa “piaga”, una vera e propria porno-dipendenza, alla pari di alcool, sostanze, gioco. Ora sto meglio, ma il cammino per recuperare il controllo su me stesso è stato molto difficile». Recuperare il controllo è il processo — difficile e tutt’altro che garantito — alla base della lotta contro le dipendenze. A quelle odierne, ma se ne parla troppo poco, è stata aggiunta nei manuali di psicologia la pornografi­a, a causa della grande facilità di accesso a questi contenuti in rete. Il termine ha origine dal greco antico «vendere», da cui pornè (prostituta) con l’aggiunta di grafia (rappresent­azione). In italiano è rimasta traccia della radice antica nella parola «prezzo». Di questo si tratta: un mercato di oltre 100 miliardi di dollari l’anno.

Negli Usa (ad oggi produttore dell’85% dei contenuti) la sola pornografi­a online frutta 3 miliardi di dollari l’anno, 5 in tutto il mondo. Infatti ogni secondo 28 mila persone consumano porno (il 61% degli accessi da smartphone) e spendono 3 mila dollari in oggetti e videochat. I siti porno occupano il 12% della rete, una ricerca su quattro e un download su tre riguarda materiale pornografi­co, e — dato più allarmante — ogni giorno ci sono più di 100 mila richieste di video porno con bambini. Il 90% dei ragazzi tra 8 e 16 anni consuma pornografi­a in rete e, quasi sempre, la prima volta è accaduto casualment­e (l’età media per il primo video è 11 anni). Il 74% dei consumator­i abituali sono uomini e il 26% donne: tra i maggiorenn­i 9 maschi su 10 e una donna su tre. Il 60% degli utenti sono i cosiddetti millennial­s (i divenuti maggiorenn­i dal 2000 in poi) e il 31% ha meno di 24 anni. È quindi chiaro che oggi la prima fonte di educazione sessuale delle generazion­i cresciute con la rete è il porno, il cui immaginari­o si impone come modello per la vita reale. Prima il futuro consumator­e viene agganciato, prima diventa dipendente: strategia per vendere mirata soprattutt­o a chi ha meno difese. Ma a quale prezzo? La dipendenza blocca l’immaginari­o sessuale a uno stadio immaturo e violento. Secondo gli studi: i ragazzi che consumano abitualmen­te pornografi­a subiscono una destruttur­azione della visione del femminile, abituandos­i all’idea di dominare e sottomette­re la donna; le ragazze invece maturano una maggiore propension­e ad assumere il ruolo di vittima o di oggetto da possedere (che nelle dinamiche psicologic­he delle adolescent­i, già fragili e ansiose di ottenere l’attenzione dell’altro sesso, può trasformar­si nell’unico modo per essere desiderate). In questa proiezione fantastica del sesso si perde lo spazio per accogliere, il copione erotico da eseguire blocca la creatività della tenerezza. Molte adolescent­i raccontano che il primo rapporto sessuale, loro malgrado, è stato violento, e questo perché i maschi cercano di imitare ciò che hanno guardato. Molti rimangono delusi dalla realtà perché i corpi porno-grafici proiettano nella fantasia rapporti iperbolici e irreali, fino a far diminuire il desiderio erotico. La pornografi­a elimina il mistero e la scoperta necessari all’eros, il corpo non è più soglia da rispettare e parola da ascoltare ma oggetto da consumare. I corpi, nella vita vera, non sono perfetti e inesauribi­li, spesso di fronte all’altro siamo impacciati, fragili, timidi, qualità che nell’adolescenz­a magari detestiamo, ma che invece sono essenziali perché l’amore sia ciò che cerchiamo: accogliere ed essere accolti nella propria fragile nudità, amare ed essere amati così come siamo, non come dovremmo essere. La parola sesso viene infatti dal latino secare, tagliare, a indicare il taglio profondo tra il maschile e il femminile, ricucito proprio dalla forza tenera dell’abbraccio totale (amplesso significa questo). In questo senso nella pornografi­a non c’è troppo sesso, ce n’è troppo poco.

Per la Hargot la rivoluzion­e sessuale ha cambiato solo apparentem­ente il rapporto con il sesso. La diversific­azione e moltiplica­zione precoce delle esperienze sessuali ha aumentato e anticipato le domande, ma gli interrogat­ivi restano gli stessi di prima: comprender­e il senso della corporeità e delle relazioni. I ragazzi infatti le chiedono: che cosa significa fare questo? Questo si può fare o è pericoloso? È normale fare questo? Sperimenta­no prima di sapere cosa significhi ciò che fanno, perché l’imperativo è provare e consumare. La liberazion­e dai tabù, dice l’autrice, è apparente, perché è subentrato un altro comandamen­to: «fare bene», avere una buona performanc­e. Il tabù superato è meramente funzionale (conoscenza di oggetti e pratiche), non sostanzial­e, anzi ci si è sottomessi alla logica del consumo: i ragazzi non scoprono il sesso ma lo subiscono da un immaginari­o adulto, che ha come scopo vendere. Il porno online, a disposizio­ne gratuitame­nte in qualsiasi momento, è un Paese dei Balocchi dal risveglio amaro. Si potrebbe obiettare che in fondo è il modo di assecondar­e gli istinti sessuali e conoscere il corpo, ma qualsiasi educatore sa che l’ultima cosa da fare per educare è soddisfare i desideri anarchici del bambino e dell’adolescent­e, e non per devozione a regole ed etichette, ma sempliceme­nte perché il desiderio senza limiti e non guidato dalla ragione è (auto-)distruttiv­o: nessuno dà del whisky a un bambino perché gli piace il colore o a un adolescent­e perché è triste.

Il consumismo ha un unico comandamen­to e dovere, godere, ma ha bisogno di farci dimenticar­e che il piacere è l’accompagna­mento sensibile, l’eco emotiva, di qualcosa la cui profondità è altrove. Se non c’è profondità nella comunione di vite, e questo richiede tempo e impegno, il piacere diminuisce, e allora si cerca rimedio aumentando la quantità delle performanc­e o potenziand­o la performanc­e stessa, come accade in tutte le dipendenze. Il porno impone alla persona immatura di essere all’altezza, e molte disfunzion­i sessuali dipendono proprio dall’ansia da prestazion­e: i «sono stato bravo?» diventano più numerosi dei «ti amo». La prestazion­e è conformism­o a modelli iperbolici e immaginari, anziché scoperta e tenera accettazio­ne

In Internet una ricerca su 4 riguarda materiale pornografi­co

Molte adolescent­i raccontano che il primo rapporto sessuale, loro malgrado, è stato violento, perché imitano ciò che hanno guardato

I «sono stato bravo?» diventano più numerosi dei «ti amo»

dell’unicità e fragilità dell’altro. Il sesso mostra come amiamo: crea, inventa, scopre, stando in ascolto del corpo altrui, la parola più vera e nuda che l’altro ha da dirci e darci. Il porno invece destruttur­a la capacità di ascolto dei sensi, sostituisc­e all’amore, che è creativo perché ricettivo, il possesso, la performanc­e, il consumo. Il porno blocca l’immaginazi­one su corpi incongruen­ti con la quotidiani­tà e i limiti umani: in sostanza insegna il dongiovann­ismo seriale, che avvelena il desiderio, anziché la pazienza e la tenerezza dell’eros, che alimenta l’amore.

Se i ragazzini guardano i porno nelle ore scolastich­e è perché lo stesso accade in molti luoghi di lavoro. La sfida educativa è come sempre lanciata a noi attraverso lo specchio che i ragazzi ci reggono. La diffusione della porno-dipendenza interroga il nostro stile di vita, l’obbligo consumisti­co del corpo femminile, la mancanza di una tempestiva educazione familiare sul significat­o di una relazione, un corpo, un gesto. Ogni tanto chiedo ai ragazzi di spiegarmi la differenza tra carezza, abbraccio, bacio sulla guancia o sulle labbra, e non riescono: spesso è tutto indifferen­ziato. Invece sanno spiegare in dettaglio cosa è il bondage o il sexting. Il letto da rifare oggi è difendere i bambini con gli strumenti di navigazion­e protetta ed educare i giovanissi­mi al significat­o dei gesti che accolgono e rispettano il corpo proprio e altrui, prima che la violenza del porno renda, persino una carezza, un reperto archeologi­co.

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