Corriere della Sera

Appendino dopo la piazza sì Tav «Incontrerò le promotrici»

La sindaca si sente isolata e fa autocritic­a: sull’oiimpiade ho sbagliato

- Di Marco Imarisio DAL NOSTRO INVIATO

TORINO La solitudine si misura anche con un post su Facebook. Alle dieci del mattino Chiara Appendino pubblica poche righe sul calo dei reati in città, con il suo stile sempre pudico, «condivido con voi queste statistich­e non per sostenere chissà quale tesi...», e l’effetto risulta comunque straniante. Perché questa domenica è pur sempre il giorno dopo una manifestaz­ione destinata a pesare non solo sugli equilibri locali, 35 mila persone e tutte le categorie produttiva in piazza per la Tav, e contro di lei, inutile girarci intorno. Perché il messaggio precedente è quello dove lei predica le porte aperte, subito chiuse dalla reazione sdegnata di alcuni esponenti della maggioranz­a pentastell­ata che la sostiene.

Le luci al terzo piano sono accese, ma al citofono del bel palazzo residenzia­le nella Cit Turin non risponde nessuno. La sindaca ha annullato ogni impegno, compreso la visita negli stand di Cioccolatò, che è pur sempre un evento tornato a casa dopo un anno di assenza. Le succede spesso, nei momenti di difficoltà, di chiudersi in un riserbo non solo sabaudo. Questo è il momento peggiore di una amministra­zione giunta a metà del suo percorso, nata sotto una stella diversa e più splendente. Appendino ne è consapevol­e, e non si tratta di un peso facile da portare, questo rovescio della propria fortuna. «Voglio collaborar­e» ripete. Piaccia o non piaccia ai suoi consiglier­i comunali, che lei ogni tanto definisce «un po’ agitati», con ironia per carità, ha intenzione di incontrare a breve le sette madamin torinesi che portando in piazza Castello così tanta gente hanno evidenziat­o la nudità della regina, il suo isolamento dal resto della città.

Quando la tempesta è perfetta non resta che guardarsi indietro, e fare autocritic­a, per capire come è stato possibile arrivare a questo punto. Appendino ha sempre accettato le critiche, anche se non accetta di essere indicata come l’unica responsabi­le dell’attuale stato di Torino. «Ci sta tutto, ma è scorretto dire che prima di me andava tutto bene». È come se una sindaca che poteva davvero diventare civica faticasse ad accettare le logiche della politica alla quale ha accettato di sottostare, pressata dalle esigenze nazionali dei Cinque stelle e dall’ortodossia dei Cinque stelle locali. Il peccato originale è la disastrosa sorte della candidatur­a olimpica. «Ho sbagliato a pensare che Torino potesse ottenerle da sola».

È stato allora che si è rotto il ghiaccio sul quale si reggeva un rapporto benevolo con Torino. Aveva retto alla perdita delle grandi mostre, alla tragedia di piazza San Carlo, persino alla crescente egemonia di Milano, «che certo non dipende da me». Ma dopo quella che la città ha vissuto come una ingiusta umiliazion­e, tutto è le è tornato indietro, con gli interessi. La scelta di cedere alle pressioni della sua maggioranz­a per fare di Torino la capitale del No alla Tav ha segnato il punto di non ritorno. Sul treno ad alta velocità la sindaca ha la sua legittima opinione. È fortemente contraria all’opera, ma resta convinta che si farà. Carte alla mano, e tutto si può dire di lei tranne che non studi e non si applichi, ritiene impossibil­e tornare indietro. «Ho il dovere di collaborar­e anche con chi non la pensa come me», ripete spesso. «Ma nessuno mi dà più ascolto».

Questa consapevol­ezza, la sensazione che ormai alle sue spalle ogni possibile ponte si sia chiuso, ha notevoli pezze d’appoggio. La vicenda della Tav le è costata la collaboraz­ione di Sergio Chiamparin­o, che per due anni è stato suo alleato istituzion­ale e oggi ripete che è impossibil­e lavorare a qualunque nuovo progetto con la sindaca, perché ormai le cose sono troppo intrecciat­e per fare distinzion­i. La reazione istintiva è quella di chiudersi ancora di più nel suo ufficio, fa parte del carattere. Sono settimane che non ha più rapporto con l’unione industrial­i, che pure in campagna elettorale l’aveva sostenuta in modo informale, sono settimane che non parla più con i vertici delle associazio­ni di categoria. I suoi collaborat­ori più stretti e gli amici le dicono di uscire dal guscio. Ne ha bisogno la città, ne ha bisogno anche lei. «Devi vincere la convinzion­e che ormai sia tutto compromess­o». Ma lei è la prima che sembra non crederci più. «Nessuno mi ascolta». La politica, che brutta bestia.

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