Raggi pensa a novità in giunta e incassa il flop del referendum Atac
Alle urne solo il 16,4%. Dopo l’assoluzione la sindaca vuole una «fase due»
ROMA Finisce sul due a zero per la sindaca il weekend di fuoco di Virginia Raggi, decisa a capitalizzare la vittoria per spingere sull’acceleratore e avviare una fase nuova: sabato la sentenza di assoluzione dall’accusa di falso, ieri il flop del referendum per la messa a gara del servizio di trasporto pubblico. La consultazione, boicottata dai Cinque Stelle malgrado l’affinità con il tema della democrazia partecipativa, non raggiunge il quorum del 33,3 per cento fermandosi al 16,4. «Atac resta ai cittadini. Ora impegno e sprint finale per rilanciarla», il tweet della prima cittadina. Ma a offuscare il risultato sono le polemiche sulle presunte irregolarità. I radicali, che sul quorum annunciano il ricorso al Tar, protestano: «Molti presidenti impediscono di votare a chi è sprovvisto di tessera elettorale, mentre per il regolamento basta il documento di identità». Dal Comune, tuttavia, ribadiscono di aver dato «corretta informazione». L’esito del voto e la scarsa affluenza galvanizzano la squadra 5 Stelle che, pur di mantenere l’affidamento in house, ha scelto il concordato per salvare Atac dal default.
Superata la prova più dura, il verdetto del tribunale, Raggi si concede una domenica di relax con il marito, Andrea Severini, e il figlio Matteo. Dopo il pranzo al mercato agricolo del Circo Massimo, un breve passaggio in Comune per firmare alcune carte. Prima di rientrare a casa, la sindaca si ferma a votare nel suo seggio a Ottavia. Unico cruccio, il ritratto lacrimevole che le è stato affibbiato: «Non ho pianto alla lettura del dispositivo né alla telefonata di Grillo — si sfoga con i suoi — . Se fossi stata un uomo non sarebbe successo». Da oggi, dismessa la maschera contratta degli ultimi giorni, vuole mostrarsi sorridente: mood emotivo che è anche l’immagine della voglia di ripartire con un nuovo passo, «di corsa». Le difficoltà a ingranare finora sono state il tallone d’achille del team capitolino.
Dopo aver pungolato più volte Raggi, ieri nuovo affondo del vicepremier Matteo Salvini, sebbene più misurato rispetto alla metafora del rally per descrivere le strade piene di buche: «Che c’era un’opa su Roma l’ho letto dai giornali — così il ministro dell’interno in risposta alla sindaca convinta che la sua assoluzione abbia fermato la scalata leghista — . Che Roma abbia bisogno di amore, cura, ordine e pulizia mi sembra evidente». Più tardi, è il vicepremier stellato Luigi Di Maio a tenderle la mano: «Daremo più poteri a Raggi, daremo più fondi e cominceremo a sistemare. Ci saranno tutti gli investimenti nella legge di Bilancio».
Se non fosse che i temi citati dal leader del Carroccio domani saranno al centro di una riflessione interna alla maggioranza. Raggi vuole fare un check sul programma. Su pressing dei consiglieri, sempre più insofferenti all’isolamento della giunta, si pensa a un rimpasto: non prima del 19 dicembre, quando i creditori di Atac dovranno esprimersi sul concordato. Tra le posizioni più traballanti quelle ricoperte da Pinuccia Montanari (Ambiente), Margherita Gatta (Lavori pubblici) e Rosalba Castiglione (Patrimonio).
Nel frattempo, si confida nell’arrivo di 20 nuovi dirigenti scelti con procedura pubblica, per colmare il gap della macchina capitolina. Il direttore generale, Franco Giampaoletti, auspica che «la città giudichi la sindaca per il lavoro svolto nel rispetto dei tempi amministrativi». Tradotto: «La campagna elettorale si fa ogni cinque anni, non ogni cinque giorni...».