Corriere della Sera

«Soltanto una cerimonia, gli Usa faranno il minimo»

- Fabrizio Caccia

«Io non so se è vero o no che il premier Conte sia volato da Haftar a Bengasi», dice il senatore Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera e oggi docente di Geopolitic­a del Mediterran­eo alla Lumsa di Roma.

Palazzo Chigi ieri ha smentito.

«Fosse vero sarebbe penoso, vorrebbe dire che siamo ridotti al punto che per tenere in piedi un simulacro di conferenza, che non servirà a nulla, il nostro presidente del Consiglio deve correre da Haftar a chiedergli di partecipar­e».

Oggi a Palermo comincia la conferenza sulla Libia.

«Al massimo sarà una cerimonia. Perché il livello delle presenze è davvero basso. Gli Usa mandano appena un sottosegre­tario. Nel gergo diplomatic­o vuol dire fare il minimo indispensa­bile, piuttosto che darti un calcio in faccia. Ma forse pure lo è».

Allora cosa aspettarsi?

«Io mi auguro che alla fine Haftar venga, sarebbe un grande atto d’umiltà, anche se Palermo è solo un’ostentazio­ne di velleitari­smo. Di sicuro, occorrerà abbassare

Ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, 62 anni, insegna geopolitic­a alla Lumsa

l’asticella delle aspettativ­e. Alla conferenza, tra chi ci sarà, cerchiamo di creare almeno un dialogo sereno per indurre a un cammino elettorale».

Il futuro della Libia, però, resta un’incognita.

«L’unica soluzione è che Russia e Usa congiuntam­ente mostrino la volontà reale di coinvolger­e gli attori principali: Egitto, Turchia e Unione Europea».

Per adesso comandano le milizie armate.

«La Libia anche con Gheddafi non è mai stata una realtà statuale. Il Colonnello la teneva insieme distribuen­do i proventi del petrolio e del gas tra le tribù. Oggi servirebbe un altro capo riconosciu­to da tutti, ma non c’è. Haftar è divisivo, Serraj troppo debole. Nessuno rimpiange Gheddafi, ma il problema è che oggi ci sono 50 capi che litigano tra loro».

E l’italia?

«Ho grande stima del ministro degli Esteri, Moavero. Il problema è la nostra politica estera. Perché ci siamo vantati a lungo di essere rimasti i soli con l’ambasciata aperta a Tripoli e adesso ci ritroviamo con l’ambasciato­re Giuseppe Perrone, il più esperto di cose libiche in assoluto, interdetto ad entrare? O forse siamo noi stessi che non lo facciamo più entrare? Sono cose che non capisco».

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